W\t %xbmxxs Miss 3.M. Corrigan / LA DOTE C O M E D I A DI GIOVAM MARIA C ECHI F I ORENs TINO» IMVINEGIA APPRESSO CABRIIfc GIOLITO DE FERRAR) EJFRA TELLI. M D PROLOGO. A L uoftro cofifubito filentio Ho io frefo jperan^a . No6t- lifimi Vd itoti ,c uo dirui quel che im foftomi Fm ch'io dicevi, e che io di tu* cermelo lattea fenfato. £ uoglio ancora credere, Chequejli amici uojlri , i quali uogltono farui oggi Jpettator , de la lor fauola, Sten fiu accorti , e di miglior giuditio. Che non JonHo , nel conoscer gVbuomini • A me f arcua ,cbe fuffe imfofiibile Il foter fodisfare a tanto fofolo, E di quel ,cb'efiimafìme fi credono Difodisfarli , in una dota > euogliono Dami la Dota , ma ecco oue fi faluano, Muoglianobor4arui la Dota , e ferbano In altro temfo a darui foi la moglie . Imitando , e in quefioaccomodandofi Al temfo d'oggi • cbefemfre fi nomina, Quando e fi tratta qualche matrimonio Va Dota f rima , e quii douenafcano Tuttelelui. quejtocafo [concia, "Bt acconcia oggul tutto . nulla montane L 'altre cofe , lequal cercar fi debbono, a a Come èia qualità di quella che efferti Che moglie ,'ful padre ,feetle fimile Alla madre yCon chi fia allenata fi, "Et che coftumi fieno ifuoi , fon fattole Quefle yfoncofecbe oggidì fi acconciano Condue parole ,fia la dote comoda , Che l'altre cofe non cofi fi filmano Che co danar compenfarnonfipòfiino. B tnfo io chea quelli ,chebanno moglie, Ptacera quefta dote 5 perche bauendone Hauut'un' altra, parrà elìcla truoumo'. "La fatica farà far la ira ad animo. JlquefloèH dubbio mio , a certi giouani , Non tmogliatt , ancorché certi giouani Ci fono , tqu li a uentura grandifiimé Reput erano , che uogliatelor crederla* E riefca , e fia ella a fuo mo piccola , Sen^a cercar di fodo, 0 di rivenderla* A quejli tali : A 1 preti appreffo. penfomt 9 Che noi potremmo fodis farei ti dubbio Et/ fodisjarea certi t che fi filmano Gran capitali . A certi y cbe fe un pratica Di dar lor moglie ,quaficomehauefiino A arricchir con la dote, ti chieggono Tantoché paghi prima fe gVban debiti Gli apnno una bottega , & fi gli comperi Cafa e podere , n'auan^i per fpendere Nel occorrente . O qual banco oggi traffica Tanti danari, che a empier ghbaflafmoi 3 No» già il noftro in buona fede , e dichino Quejli mieidclla fefta quel che e uogliono. Ma fedi quattro forte 5 come dicono Quejli miei, che di tante forte d'huomini Ci uanno a torno , noi ti fofiam credere j Difodisfarea tremare fa^a j Uauendo fatto radunare il fofolo Surfifer tema della quarta , mutolu Ver fodiffare, adunque a i fiu che uogliono Darui la dote in fomma , ©• fi confidano Che uoi accetterete il lor buon animo, Doue mancafi ilfoter , che fiu fpendtre Non fuo fer quejla uolta , il noflro traffico* 3F i* quejla dota una nuouacomedi* In buona farteeauata da Plauto, Quefta fi dice , fer che alcunnon fenfi , Quefl "uno autore uogVeffer fimile A certiladroncelU, i quali rubano ì$on gli argume mi , ma (e eomedte Intere , intere , e jol con lo intra tejferui Vn framsjfu^p ledan fuori , e giurano ConU maniy e cofìe cbehannocauatofeU "Della lortefla . BgVha tolto da Plauto ÌSargumentoin gran fartedelafauola , Et ut frotejla , che farà il fintile Semfre in tutte le fue,fercheil medefimo Xedegliycbe han fatto li fiu nobili Comici y cheui fieno , ^ chi ha in fratica Ttrcntio , o Vlauto^nefia tejlimonio y A Hi Et dica fe da Greci U lor trajfono . E fe poi li moderni hanno canate , le Loro da quelli y e potrebbe ancor ejfere , Che altri uerrà y ilqual renderà il cambi» A le tofcane-y E confeffa Terentio Non fi poter dir cofa y laqual dettafi tron fia de l'altre fiate .Ofeun Terentio Non fi fotettenonferuir del ueccbio y Che marauiglia è y fe un'buomo feruefi Del ueccbio* ma di ciò detto e a ba fianca* k a Comedia è in Virente , ette la recitano "Eiorentin tutti . E pereffer uoi praticU lnYiren^e y fo , che tuttibenifimo "BSconofcete y le ftradeequal pia^t Son quejle che uiformanoil profcenio. N on faro argomento; perche ufficio Mio non è y e foi oggi e non stufano , Come già fi folea , perche oggi gl'buomini. Son di fi deftoingegno y ch'egli intendono Sen%a tanti argomenti inan^ij iafciafx Adunque l'argomento a certi /litichi. M a ben uoglio auertirui y perche facile Cofa farebbe y il fami errar y ueggendoui Venir inan^iduo giouan dtfimili Al tutto di cojlumi , e amichimi Nondimenaedirefliegl'è imponibile CheVamicitU duri tradifimili, Quefìo nuouoautoreìu prefoun granchio. E t fero auertite Nmuiti4 Incomincio tra lor fria che morendofi , O ferme dir il gioitene credendo^, CkeH fadrefufje morto , e nmutajkfi' Da U uua di fnm4 , e mantenuta]} 3 Efoitra lor feria molto benigna Natura , di quel altro detto Iff olito, M a color , che efcon i la fotran bemfiìmo Kaguagltarui del tutto , e fero fiacciaui Ascoltar loro , e gl'altri con filent'io* A ha PERSONE DELLA FAVOLA, MANNO. BINDO ueecti. IPPOLITO. FEDERIGO giouw, MORO famiglio. SAZIO. FILIPPO utccti* TESSA fermi . Tmteftiti tilt Leuantm» MAGNANO. ATTO PRIMO. SCENA PRIMA. MANNO BINDO VECCHI. N Somma di che cofa fi mal fatta mi rif rendi tu Bindotnon la fofioio faterei S i puoi y e sull'i aera, come m"é fiato dettolo mi maraviglio , mi dolgo molto forte di te,cbe Ricco ,fen%afigl iuo li, o figlia, ueccbio co piedi horamai nella fof fa , tu ti fia dato cofx in freda alla auaritia, che tu non ifiimi nulla il romper la fede data ,t'l fcruertire l'ordine dell' a mictti* , ae^ui- ftarti un carico della forte che tu fai . lo fa benebbe gli nostro coflumeinnueccbiado diuen tar miferi , ma gli buomim che banno^giudit io, come foche btitu uolendolo adoperare , fanno temperarfi y fi cbe ediuentano p archi del loro, ma non già predatori diquel d'altri > e tu do» ueuifar quejlojanto più quanto tubaueui man co occafione di fare il contrario. Ma* Con (juefto tuo dolerti^ con gueff o grande firn* A v ATTO ma%%p , che te m'hai fatto a torno , io non ho fero ancora intefodicbe cofa tutidolghi del fatto mio,o di che tu mi ti f renda Bw. Hai tu in Yiren^e alcuno che tu tifimi amico* Ma. Bnonlofo , che dicbm d'efjere.n'bo io fiu che maggio foglie, fercbe oggi di cbiba nulla, & non ba figliuoli , o ni fori ( come auiene a me) gli fi uanno froferendo a torno gli amici, e remi , con maggiore imfrontitudme , che non fanno al mele le mofcbe : Et sHo t'ho a dire il uero,quandoiofo la ricerca di quefli minami ci, io credo, che dafoi che Viliffo Kauignani miocomfarefimori 9 foter dire che tu folo mi fia reflato amico uero. Bw. Credi tu che Hiliffo ti fuffe am ico ì Ma* Come o non lo fai tu , tttegli fi tojlo ufcito di mente,cbe fartendofi egli di quella città un an no fa , fer ire a Londra , nel qual uiaggio il fouerettó ruffein mare, et fer quanto io ne ere do fi mor i , che egli mi lafciò euratore di ¥ede rigofuo figliuolo , e della figliuola 15 di tufo ciò che egli ci bauwa .'o* c ^ e p'w to ilo commettere a me folo il tutto, che non gli aff arteneuo mente, quanto a farentado , che e qual fi uoglia defuci farcnti*. Partegli cbe que 'flifufiinofegnidi bemuolen^a , & cofe da fi- darle a cafoauno che non gli fuffe amico uero* B/w. Hor dimmi, quando tu uedefli che Hederigof* futa la mortedel fadre,fi uolfeaunamtacofi PRIMO 4 ticentìofa, & disbonefta , fi come egli fi uolfr, perche non ne lo ruirajli tu, fi come era il tuo mtereffe , hauendola tu hauuto dal padre in cu ftodia * Ma. Tu di bene) egli era interejfe y ufficio mio } &to fer non mancar del debito gne ne difii no che una uolta cento , & zne ne feci dire dalli amici , & parentidi fuo padre > ma tutto mori tòfemprepoco , o niente. Bglthaueua prima rotta la fcopa infino uiuente il padre, che foben 10 che e fe ne dolfe meco molte uolte. E quado s'hebbe a mettere quel mantello della liberta, e che e [effe che fuo fadre era morto, e nonVbt rebbono tenuto le catene , i ti fodire che non ne bifognò fiu , e fi dette a Jpendere , a gettar uia\ a far fi beffe di me ,&dicbiuncbe lo riprende- ua filmandoci tutti il ter^o piè ch'egli non baueua , fece faccia di pallotola dandola per 11 me^p fen^a un minimo rifletto* lorefii quc fla puntaglia un pe^go pe^o, dipoi per ijlrae co,uijto che quefto era un battere il capo nel muro, lafciat andare l'acqua alla china} ma tu ti moftri ftamani Bindo nuouo di quejle cofe, come fe proprio tu non ti ricordafi di quante uolte io n'ho ragionato me nt f ono eondo* luto teco, non ti ricordi tu che. Bm, Io mi ricordo di tutto ,ne ho detto fin qui per fermarmi più fu quella male, io ti uoglio con fentire y che fino a poco fa, tu babbi fatto il de» A vi ATTO Uto tuo, ch'i fo bene che tu non eri atto* farlo far bene ferfor^a . 1/ male che tu bai fatto Manno , è che tu non glibaueui , non gli poten- do far bene a fargli male. Ma. Et doue gli ho io mai fatto male* Bin. Doue* Tenendogli il facco che fi rouini . TAa . Tenutogli il facco io i 'Bm. Umejfo nel facco tuo ch'è molto feggio* Ma. Ah Bindo farla bonejlo. "Bin. Manno l'amor ch'io ti forto mi sforma a dirti cofijil ueroti dicoioferche l'ufficio del uero amico ricerca cofi , fetu l'hai fer male figniti egli e meglio > che io te lo dica in faccia , che dopolefyalle. Ma. Bindo di grana parlami fiu chiaro ,quejlo tuo dire, inmafckeratu eri tenuto a fare , e tu eri tenuto dire , mi far che dia in non nulla > tfci 4 un tratto con quel che tu uuoi >e di alla gat- ta , gatta. Bin. I fon contento . Quella doue tu jlai non fu el- la già di F ili f fot Ma. Si fu. Bin. Ha la tu comfera da Federigo fuo figliuolo^ tu ftai cheto, io farlo furein modo che tu mi douerefli intender facilmente . Ma. HoUa comfera da lui , fercbeì Bm. "Ragli tu dato il fre^o i Ma. A fatica la fateti io hauere a darloinan^i* Bm< Parti %uejta cofa da huomo da benei PRIMO 1 Ma* E perche noi Bm. Epartilecita* Ma. hecitifiima .O penfa feioibauefì compera, e non la uolefii fugare, quel che tu direftitpoi che dando e danari l'uno fu Valtroinan^i , tu mi fai tanto cordoglio a torno . Bw. Ut farti che la fede data , &■ la lunga amici- tia , laqude e fiata tanto tempo infra dife , e di Filippo } meritmodi effere trattate da te per quejta ma * In uerita riduciti la mente al pet- to Manno, e dimmi, parsegli che Vobligotuo fuffe il far quel che tubefatto* Ma . Quello, che io bo fatto , e non altro.* Bin* O Dio è pofibde pero,che la cupidità dello ha uere accechi tanto le perfone,che e non 'leghi- no una cofa tanto enorme , e nella mal bora, a che diauolo [truonole riccbe^e aequijlate con- fi bel nome * Che cofa épìu bella, che la buona fama { Manno, M*nno io t'baueuoper alfbuo mo che tu non fei . Con che ha bora a maritar quella fonerà fanciulla * cì)e debbe pur effere boramai da marito ,non faitu cheoggi di afa tica con dote grandinimeli a matrimonio le fanciulle mTiren>ecbt leftienoprtffochtbene, che glie più nmafto alla poutretta , che quello faagurato non le babbia mandato male * egli erapurobligotuo il penfare a tutte quefle co- fe per loajfuntocheti lafciò quel poueretto* Ma* Horfubatu ancor dcttoquantotu uuoéi ATTO Bin. Io ho detto (punto era l'ohligo mio . Ma. O lafc ia bora un fo dire a me le mie ragioni, euedi, fon da fané la collera e flammi a udi re, ch'io uoglio mojlrarti che io offerito la fede data,e ch'io mi ricordo dilciUffo. Bin. A fegni e mi fa r che tu facci foco l 'uno, e ma co l'altro. Ma* Odi'luangelo,efoitifegna,ma uedi Binda itemi f egreto ciò ch'io ti dirò , fer cheto ti uo di re cofa , che imforta , sfarai folo in epe fi* terra a fa fedo . Bin. Di ficuramente ciò che tu uuoi , che il falefare i fatti d'altri non fu mai mio difetto. Ma. Bea fer fona a torno che ci udiffei Bin. Noifiamfoli. Ma. Viquae* Bin. E ci ha fer tutto fia^a franca. Ma. Quando Viliffo andò ma , egli mi infegnò fe- rmamente, doue egli htueua fotterrato inque élacafa . Guarda benfe ne\f uno ciaf colta. Bm. S eguita fure che non ci ha ferfona . M4 . Tre mila ducati d'oro , e mi frego fer quel- la amicitia e fratellanza, che era fiata,®- era infra di noi, che i o non gli mfegna fi mai a fer fona, ma che i tene fi quefla cofa fegreta mfmo 4 tanto ,o che egli torna jfe , oche la fuafigliua la fufje da marito , che alhora ( non ci ef- fendo egli tornato, 10 la maritaci ^uefta fuj fe la dota . PRIMO 8 Un. E fame cbeH poueretto fi indouinajti d'Urne a capitar maleincotejlo maggio. Mi. Eglì } ft come [auto che egli era , pensò al f eg- gio , ^ parte fu, come tudi, profeta della fua morte , io gli promisi di feguire lordine dato- mi y&h barei fatto , ma queflo buono proponi mento mi fu interrotto da queflo fciaguratodi "Federigo, & queflo fu cbe oggi fa quindici di ejfend'ioin uilla , Guido mìo fratello mi fcriuè Federigobaueruendutola cafa,ferilcbe iotor mi fuhito , ne fui pero fi freflo, cbe egli non bx ueffedi già bauuti, & confumati dugento feu- di , ma non ejfendo ancor fatto il contrattole rai tanto , e con "Federigo, e col compratore, dicendo di uolerlo io,<& ugnendo le mani al me %ano , e? a cbiVbauea compera , cbe la uendi . ta di lui uenne in me , feci anco queflo di be' ne, cbe Federigo mila feiòin mano, tantolo lu fingai e fregai , dugento cinquanta ducati, cbe feruifiino per la forella. Et cofi accio cbe un al trononci entraffe , cbe quei danari cbe era- no fotter rati, non fu fimo d y altn,bo compera que fla cafa,e fona tornato dentro. Un. Io mi rimuto , fe la cofa fla come tu mi raccon ti y z? mi ridico. Via. E/ male e cbe io bo cerco doue e mi diffe cìfem no quefli danari , e non ite li truouo. ìin. Quello fari ben feggio . Via. Egli è ben uero cbe io non u% cerco molta Mi ATTO gentemente , ferche io non ho fcffuto fer amor badare , rijpetto a quejla briga dello fgomhrn re , & del raffettare , ferche tonon uoglio che e miti di e afa fi auegghmo ch'ione cerchu Rin. "La fanciulla doue è ? Ma* Qui in caja mia y con la mia donna . , BtH. "Fcrma y eccobrigate. Ma» Andiamo infino alla nuntìata&fer U uìa udì raiil reflodel mio difetto. Bm. Andiamo. SCENA. II, IPPOLITO, ET FEDERI- GO GIOVANI, Ifo* TT^v I grana Federigo fiatein quefle uo 1 1 lire cofe manco furiofo. Ff. E ff f olito uoi no fafete lo jtatemo. ìf o. Volete uoilafciar la uojlra terra j uojlri ami ci y zpquefla cofa imferfetta , che ut imfort* fur affai* Ff. Io lafcio Manno , ilquale ha Vautorità fte- mfiima, er che fa ra ogni cof t^come s'io ci f ufi. Jpo. Manno t huomo da bene,e credo ch'egli fia fer fare fer uoi affai cofe , ma "Federigo in altra guifa fi fanno i fatti funi da fe } chiuuolfar U4 dia , e chi non uuol far mandi , lo interejfe fro frio ftrigne d'altra qualità. Quefto PRIMO 9 Te. Quefto èìntereffe proprio di Manno , perche mio padre locomtffe aluiparticularmente. Ipo. Intereffe proprio? egli uojlro y efrèuojtra fonila Te. Ippolito i fon forcato a fare ofi. ìpo. E uoi ui fiate fatto una imagmatione y l aquale e f alfa , perdonatemi* Te. E fa meglio il pa^p i fatti fuoi , cbe'l fauio quelli d'altri. ìpo. ha amicitia tanto intrinfeca , lacuale e fiata intra dinoi infinoda piccoli fanciulli , può ella tanto dpreffo di uoi , che lopojfa fapereda uoi liberamente, ebecofa co fi importante è quefla, che uifor^a a partimi di qui cofi toflo , ^co fi a rotta i di gratta Federigo contatemu cafi uoftri, com'egli flanno,cbeuoi uederete ptrl'o fera ycbeuoinon bai ne gettato uia il tempo. Te. I n'ho gettato uia tanto de l'altro , che per far ui piacere , io mi contento gettare ancor que- fto y quel ebe mi for^a a partirmi >fi i.llue dere andar le cofe mie con dubbia e fredda jpe ran^a , l'effer fopra fatto dalle jpefe , il co- nofeere di non bauere il mododa potere per lo auemre comparer tra gli altri giouani mie pa ri ,o>jlarebonoreuolmente, cerne i fono flato infino ad bora» Ipo. Altro. Te . Bt ui paiono quelle leg gieri ca ufel Ipo. No , ma ne anco fi difficili che le non babbino riparo. Te. Eime a nejfuno buon cofortator dolfe mai teftj 0 ATTO Vdite y ifo che e non u'è refluo ancora fi de» bohfacultadi, che uoinon pojìtate iutiere corno damente da buom da beneiguardateui fiu to- ftoda certe fptfe, & da cera traforimeli qua li uoi fafete che fono quelli che danno il tuffo a Giouani : & uogliatefiutoflo flarui a cafa ri fofatamente,<& guardami dal gettar uia,che andar fuori a crepar ferbauere che gettar ma: che s'io u% a dire'l uerojamifar cofa flrana cb'un far uoflro uada a forre la uita in pericolo ju per le guerre a eaufa che e ne goda chi ui co fuma • lo ui farloda cuorecome loia intendo: e pero a tteneteu i Federigo a l mio eonfiglio. Volete eh io mi fermi qui ì doueì non fafete uoi che c non m't recato altro che un folo fodere jl quale de feruireferdotedi mia JoreUa £ Quanto alla dote di uottra foretta y nonuibodet to , ch'io la tonò , e ch'io non uoglio che fi far lidi doteì fiate uoiin Yiren^e , & godeteuelo, & baro hauta la dota ch'io defidcro $ uoi fafete che io u y ho detto cofi fiu unite y e coji ui man» terrò ,e fe in fino ad bora le mie farole uon han no h Aliato effetto, non è reflato da me che effer- Ttarnon leuogli, ma il non hauere ancor troua toun uerfo comodo da far che mio fadrecidi4 il confenfo. Hauetegnene uoi ancor farlatoì Meffer noni dico \ perche io noti ho mai ueduto il bello $ che mi bijogna dircene un tratto ch'io PRIMO io lo truoui in bona che egli è , come fono tutti i uecebi , un pofantaftico , e io non penfando che duo di prima , o duo di foi importammo, boia j cinto tra f andar la cofa quattro o fei giorni ,ma io uìf romeno che alianti che fi* fera io gne ne parlero,et ui raguagherò/iolo carpo in huo na ,i foche e non ha a far parola. Te. Si di confentirci non douera uolerudir parola. Ipo. Vedete egli era tantp amicodi uo^ro padre, che come egli intende, che la fia fua figliuola egli ne [ara arcicontento . Te. "Può effere , ma i non lo credo. Ipo. "Federigo udite uoglia egli o no, quel ch'io u'ho promejfoio ue lo manterrò in ogni modo,qual- che cofa farà col uecchio poi. Te. Queflo nonuoglio per nulla. I non uggito mai cbeloamor che uoi mi portate fia caufa della rouina uojlra . Come io uidifi dianzi, io dfft gnauo di partirmi dopo dcfwareper alla uol- ta di Bologna , io foprajlaro fino a tutto doma m:in quefto me^p trouate uoflro padre, par lategnene,uedete doue uoi lo trouate ,fee uno le i beri'e\'{ee non uuole , patien^a , amici co- me prima , è più , [e più fi può, <& faciafique- fla cofa, o non fi faccia , io ui baro fempre mai obligo , dello amor grande , della cortefia che uoi mi bauete dimoflro* Ipo. E non accade parole infra di noi , fate pur con to Federigo dhauere un fratello cbeuoglia più ATTO più to$o far di f attiche ftffit dir di parole* lon'boueduto,!? ne ueggodel condnuoVope- ra , er fende uogliocbeper guanto io uaglio, uoi legniate me. Sien finitele parole tra noi. Deh uenite meco: luouedere fe mio padre fuffe a forte inpia^é oxn mercato nuouo^beiogli uo parlare adef- fo di qucfla cofa. Al piacer uojlro . IL UNE DEL PRIMO ATTO» ATTO SECONDO» SCENA PRIMA» FEDERIGO GIOVA- NE SOLO, Q VANTO tante , quanto l dit et teuolelo hauere uno amico della qua- lità" cfrè If olito , a chi tutti gli inco- modi , & i comodi fieno ugualmente contenti; lafua corte fia , Vefferm'eglitantoadolfoa pre gare mìcihanno fermo ancora fer quattro gior m.Qfefuo padre fi contentale di queflo pa- rentado , e miparebbe d'ejjer felice beato ancor che ciandaffe il podere , il rejlo della £ cìq cbìo ko } fia mnfie egli dica d i mlerla tor SECONDO ii re in dono , undici pur anco quejlo e fia fatto , che almanco feionon Jhtrò nulla y io tre ne fotrò ire doue miuerrà bene , &>nonharò pero q>ie- fto romordimento d'bauer lafciatoqua un^fo- retta per le cafe d'altri non maritata , & con foco auiamentOjU fer dire io la l afcto a Min no, come diffe Ippolito , Nlanno uorra meglio afe che a lei, <& forfè per non fi hauere a ca- uare il rejlodella cafa di mano, fi curerà po* co che quella uentura fe ne and ajfe in fummo, e in uero buono, buono a me è egli riufcito un Mimo che ammanta per fe . Horfu a ueder quel che Ippolito fa con ¥a%), ejee mi riefce un'bttom mi[ero,come io credo , o pur liberale, come credo Ippolito. SCENA. IL MORO SERVO, ET FEDERIGO, Mo. TNON ci fono ancora andato, qualche I diauoleria trouero to. Fe. Beco quejlo furfante pan mente come e ne Mo. Set uo alla guerra feco , e mi eajtrt. (mene Fe. Guarda che tu nonfudi, VoglUn noidtreche unbraccioe me%g> di querciuolo ti facejfe m t tarpaffoì ATTO Mo. I uo il fiu ritto cb\ foffo. Te. Douedtauolfetu fiuto tutu mattinai Mo. Voflra fonila mi mandò a cafa M. Leffan* dra uoftra^ia ,fcrqueftiimbrogli. Te. Et bai fenato tantoì Mo. Prima mi conuien ire in mercato . uoi dite foi cbei bado, ogmunoin cafa mi comanda* uoi mi comandate > Marno mi comanda , o dianolo io non poffouolar fendale. Te. Oime gua rda cbe tu rcn figli una calda. Mo. E per dio ment re ch'io ho quefli fanni mdoffo , t forto fiu toflo ferieolod'una fredda. Fe. Inauri che noifiamo a Bologna , tu fuderai con efii fiu di fette uolte. Mo. I non ui fono ancora.l mi confortoche io fon ufo ajitntare , ma ci farà de gl'altri cbe farri lo ro forfè altro giuoco cbe andare m Camerata, Te. Dofurfante* Mo. Chi lo uuol far crucciare ,gli dica il uero. Te. Vienmeco. M<>« I uoghoire fe uoiuolete, 4 fortare quefle cofe in cafa a uoftra forzila. Te. Spacciati ,o dalle alla Tejja^cbes'è fatta fu la porta. SECONDO 12 SCENA. IIL TESSA SERVA, ET MORO. Te. -v rCOMB fono fattieuoli quefle mon- \/ ne merde, Mo. Y % Teff 4. Te. ebrei e. Mo. T e f> or t4 petto efempio alla Cimili a& dil- le che U fu4 Radice >che quel Uuoro grande mi parue a me che la dicejf". Te. O p enfi come laua,e dice fa rue. Mo. "Face u du doue e fitto uno fpMetto 4 l'altro* . Te. A/trio nonterroa mente tinte cofe, de mengne ne 4 dir turche fin meglio • Mo. I non poffo . Te. Perete^ Mo. Quell4 bejliiccii del pidrone, che da Varme % perche 1 ho Udito troppo . Te. Tuo danno , ben nfla . E fi mole che tu uidu facendo mxncola duetti alle finejlre. Mo. I fri mal anno che V>ioti du. Te. Che ti fi fecebi, forfè ch'io non fbo ueduto cento uolte . Mo. Hor oltre piglia eofti. Te. E uieni. Mo. Io uerrò le forche che ti impicchino uette colli ue, ATTO Tf. Moro , Moro, parti che me l 'babbi calata il tri faccio, o egli è bene dirittamente un'afino.Ti rompa la bocca otta y che glha bene' l fi Itolo adoffo con unta frettate ionon mi ricordo di co fa che e mi s'babbi detta ; ma facieglixeUa lo intenderà fe u'è fegnato,lafciamigli fonare. E' quello il ^io della Camilla, non egli è Va 'fioìeba feco'l fuo polito yócfrè garzone è quel da dargli moglie. SC EN A IIIL FAZIO VECCHIO, IPPO- LITO GIOVANE» Ta . T A bene j ma dimmi un po che dota ha \ ella. Ipo. Mio fadre eWè uidico una perfontl Ica. Intendo che ell e una perfona tutta buona, e tu$ tabella ydimila dota. Tfo. L<* dota farà fer auentura manco. Va. Che di me , tu me la cmcifli cofx , fa eb'ioin* tenda. Ipo. Mio pad re per dìrui il tutto , que Sfa fanciulla non ha dota , o poca cofa , ma. Ta. Come dia uol non ha dote, o poca cofa» Ipo. Ell'èdt tal parentado , e fu figliuola di tale* "Fa. Se la fuffe ftu betta cb'el Jole, pm nobile , ebe la nobiltà SECONDO ij U nobiltà , e figliuola del Doge di Vinegia, non uoghocìye tu tolga moglie fen^a dote, ino hobifogno in cafa mia di fumi , ne di frofpet- tiue. 0 Frf^'o. Va^ioa tua fofla . Ta^io farei io s'io crederi. 1 ti fodirche la farebbe bella , o non ftaremo bene , i Jlaret frefeo foterhauer tremila duca ti a bocca baeeiata,& acconfentir che tu to- glievi moglie con uno inchino , s'io non wentaf fi un cauattononfiuaglia . Io ui dico. Di a tua fofla , tremila ducati di ch'io non cani %ono,iVantendo ancorio,uenghinoa me que- fti f accenti che ti uoglion dar moglie, lo non ui tto di fauori , ne di fummtd'arrofto: & fura- tene gli orecchi uedi If fottio, & immaginati che fe tu uoi flardoue me y tu non hai a tor don namdono. I mi credo che il eafo delle moglie confifteffe in altro che in danari, In altroì ti far forfè una fauola il tor moglie* tu non [ai ancoraché fpefa fia Vhauer mogliet afena queUe,che hanno di dota le migliaia fof fono non rouinare le cafede mariti , con tante chiacchiere , con tante foggie, contante mer- de, quante leuogliano. Mio fadreifenfocbe le uere dote fieno e buon coflumi, e jpejjofotto quefle gran dote, u'èna* B ATTO fcofla il tormito e la rouina delle caf4te y e rade uolte è don* ricca da feche no fia ancofuperba. "Fa. O che belle ragioni, dotte rkai tu ftudiate? non fai tu che le donne fon tutte bumili,buone,e fan te , e d'affai , mentre che le flanno in cafa t pa dri , ma tojìo che le n'efeono ^elleno dtuentano peggio chediauoli , & toglie diche qualità tu uuoi , forfè che quelle che fi tolgono fen^a do* ta fe ne poffano rimandare non piacendo* Jpo. Elleno non fe ne poffon rimandare, ma l'hanno fempre un certo che di timore. "Fa. Vn certo che difaua-yfai tu come dicon quelle, che non poffon dire 3 io ciarreccax tantoìl non ti uenni dietro: tu fapeui quel ch'io haueuo , s'io non ti piaceuo,non mihaue fi tolta , che ti crede fiu torre una fante , fimil parole ingiunofr, delle quali ne hanno fempre le donne quella do uitia , che ha maggio delle foglie , cofi chi nonbadota, ha Vun male e l'altro, il che non in tendo per modo alcuno hauer io: al manco fe io barò una nuora, che fia fuferba per la dota, el la bara in parte ragione,e io potrò comportare le parole, potendo della dota farne i fatti miei. Ipo. I fo ch'io l'ho colto fui far della luna bene. "Fa. I Vantendo anch'io , che farà qualche innamo- ramento èfrafea, etoflo tojìo uorrerno corre- re a torla , corri, f&llecita. Ipo. I ui uodir un 1 a Itra cofa, ch'io non ho uijla mai. Va» Odi Ipolito per ridurtela a orOjUijla, non uifla SECONDO 14 innamorato 0 no , quefto non mi importa } nfol- ulti a quejlo ebe,i non uoghoche tu tolga moglie fe tu non hai tremila ducati di dota almeno,al meno, e d'oro. Ipo. Voi no battete ancor uolutointeder ch'ella fi fu Ta. Sia chile fi fare premila ducati d'oro di ch'io noninchim. Jpo. E io pur uel dirò . Quejla fu figlimi adi TU ip po Hauignam y amicifiimo uoflro. Ta, Di Tihppo che affogò in ma re * Ipo. Di cotejlo mejferfi. Ta. O Dio gli per doni. Ipo. Voi fapetejeegli era buoni da bene. Ta. Filippo era huom da bene & ricco ,0-fo che ditte alla forella che mmtò a Kinieri Agola ti fiu di dumila ducati , fiche e juoi hanno il modo a dar la dota alla figliuola f fe la uor « ranno maritare. Ifo. Tilippofugia ricco , ma oggi efuoifono fo» uerifimi . Ta. Mimancarebbe queflaltro auiamento a tor- no y hauer tutto il di rift a gnare barili , fecchi y o diche cerchino loruentura , e tu attendi ad al- tro i&fetu uorrai moglie ,enon te ne man- cherà ,in città fumo. ìfo. I fo che m Tiren^e mancano i mariti, & non (e mogli,ma quefta mio padre. Fio bor ifcon tro oggicoflui nel fiu fantajltco fumo , ch'io lo fcontrap mai , &> nonfolonon ho fatto nulla bora , ma io dubito nonbauer gmfla a fatto, e Federigo affetta ch'io torni a lui con cofa con chufa y eccodiquafer Dio, SCENA* V. FEDERIGO GIOVANE, CVIDO VECCHIO IPPO IIIO, ET MORO» Ve. T O N ui far egli un bel farentado* Gw. Parrot. Fr . ^ Et è uenuto da lui a farmi quefla of fcrta. Ifo. Donde mi commcHo a dirgli ^uejìa cofa! Cui. BH'e da fa me capitale. Ifo. Horfu inan^iy Buona ulta. Te. O If olito. ifo. Vditc , conlicentia uoflra Guido • Gui. Si bene al fiacer uojlro. Ifo. Hor, hr uel renio . Fe. Che ci ha di mtouo* E tironfi da farte. Gui. La cofa non dcbb'irdi buone gambe, co/lui non SECONDO 15 è furto Allegro . Suo padre nonne debbe uoler far nulla y già io mi marauiglioche F a^io fu f fecofi diuentato liberale. Inatte gregge dique fio mondo duron foco. Maro e che fa tu la not te che tue* (ehi di [omo fer le ftrade? Ma. Non dormo no M. G uido. Gui. O che fai che tu baleni , e fiat col cafo fitto in fenoi Mo. Penfo . Guu A che atta damai Ma. Al male che mi rovina adofjo , e non ci fojfo ri furare, Gui. Che maleìil trifio forfè t? * Ma. Per Dio fi , egli i oggi di un ben grande ef* fertrijlo. Gui. O ch'altro malehai tu , che ti dia notai Ma. Quello ca f riccio d'a nda re a Ua guerram Gui. Che tV uenuto*. Ma. A me non uenne mai fi fatte uogl ie , egli Fe- dtrigouoìlrocbe uuol dmentarfoldato, Gui. I uo y che diuenti frejfo ch'i non tei diftù Ma. Voilouedrete feeuauia > & lajciaui adoffo quefla briga del maritargli laforelU* Sui» Lafciala fure a Manno. Ma. Che ha hauuto l'utile detta cafa uolete uoidir uoi. I foche quello ì uno bomacetno detta uergt ne Maria , chi loeomferafiiferlefre 9 flareb he fen^a definare , Quel femfhce di Ft/ippo uoflro cugino, e mio fadrone , haueua fiu fe- B iìf ATTO de in lui y che Vngberinello Spano. 'Et lafciol lo qua domino dominantio.e ebe mimjlr affé ogni cojayeghba miniflratobene ferfe y foi ch'egli ìin cafa y %? noie? ne fiam fuori . La lattuga in guardia a fa feri lafciò Wiffo. Guu Ch cofi uuol , cofi babbia. Mo. E uero, ma il male ,è ebefem fre in quejlo mori do fatifee la fena il giuflo fel feccatore. Te. Guido. Gui. Che a bai Ve . V ditedi gratta. Gui» leccornia uoi. Ma, E fi debbe bollir qualcofa in fentota , tanti bis- bigli % e tanti f fi fi da duo di in qua non fo nofen^a caggione, e non ha fatto quejlo fe^o di quejlo mio fadrone quiftione.Non fartn no£ %e y e Iff olito farà il fenfale. A cbi la diano, fcr noi fi farebbe il trouare uno, ebebaueffe uo glia di moglie e non di dota , maio credo che quegli tali jìen fiu rari^he corui biancbi>efan no un gran dimenar ji y Dio ce la mandi buona, sfaccia ebe ci retti (che nonio credo) il po- derino y fer Dio ebe J e quejlo ua uia cbiuoglio irmi con Dio y o Yiliffo mi comferò fuodanno, fe mi raggiugne y e mi uedera a un } altro y di gru tia. Se mi ama%>era y ehe mene guarderò fru ma molto bene .faccia effoegV è meglio morir di ferrose di fame. Gui. Trouate un modouoi. Mo. O bent i e non mi faiono d'accordo. X uo flare. SECONDO i$ in orécchi per udir f Ho poffo , chi è queftonuouo Jpofo, ocbedota ci corre» Gui Ihotrouatiquejli, penfa un'altro tu. Fe. Vdite. Mo. O ep fanno in qua la cofa tu conilo uolcuo. Ipo. Pregate un po mio padre y ifopur che uoigli fiate amico y echeux aggiufla fede, Gu. In quefticafi [polito l'amicitia mu non bafta, ioueggoche uoi meritate tanto di dota , che il frometterfi di perfuadere Fa^io y che fa f et e che gli e uno homiccino che conofce'l pelo nel uouo y cbe e m lafci tor donna fi può dire in dono y mi pare un prometter fi di uoltar Arno al in fu, Mo. O per Dio che coflui cerca per fe . Ipo. Ogni cofa è pofiihleGuido. Gui. Voi diteH uero, ma come ci conueneuolù Mo. F»* %io non ne dee uokr far nulla . Gai. O io penfauo . ì* : Che penfauate uoii Gui. E non ciba uerfo* te. E forje che fi , dite digrd tia . Mo. Se fha a contentar Ta^io noi fliam frefcbi. Gui. Che u*le il podere di camerata. Ipo. Guido io la tolgo , perche coteflo rimanga 4 Federigo coteflo non è il uerfo . Gui. E t lo fo, lafciateun poco che ual eghi Mo. ^fognerebbe la %ecca un'anno y e a pena che la fuffe tanta , a noflri imbrogli. Fe. Gredian Miche fe rfhiuefii miUe fcudii B UH ATTO Gui. Che * ne ottocento. Ma. Eime no fiam già alla flima. Fe. O, otto cento ji, che ogni Grillaia fur che la fia qui fu le forte , cornee quefto , mie cinque cento y ofei cento. Ifo. Bf uo dare in non nulla ferdonatcmi. Cui. O fanto Dio ; lononfono coli fuor di me 9 cbi non fa f fiche la intenttone uoflra , e\che que&o fodere rimanga a Federigo , E quando fer con durre quefia cofa egli ue lodefft sfarebbe que- llo fi gran male» Te. Tube fatto . Me. Si che tu fiacca fi il collo. Cut. Non fotrtttuci femfre , foicheVa^io uoflro fia morto, renderglielo in dietro* Mo. Cofe lunghe. Cui. Valeffeglt fur tantoché eifuffe il rifieno del animo di Ya^io , il retto. Ifo. Sta bene , e uiuente mio fadre io gli darò ogni anno.quel che'l foder rende in danari contanti. Ff. Inonfenfoacoteflo. Ma. E a cotefto in malhora bifogna che tu fenji. Ifo. Tengafi quejlo modo. Mo* Si cbcH fodere in tantotiuenga in mano. Fe. Guido , iuoglioche fer amor nojìro uoi ueg- giate di trouar Icario , e uedere l'animo fuo. frometteli queflo fodere & ditegli che uaglia mille dugento ducati. Ifo, Si fiu dugento , o trecento non imforta. E fot SECONDO i 7 Ff . E poi a un bifogno noi lo faremo /limare a quat che amico queflopre^>oMfoiquelli cheha M£ min manodi miodel reflo della cafa le done ra , che faranno pur cento cinquanta (cudi , c forre forfè effere contento a quejlo * può effere, ma i non lo credo* Mo. I fo eh" ancor t'hanno a parer le ghiande yucche ro di tre cotte y ^ primo chiari* He* S tate audire y d ite che queflo reflo gnene prò - metteroio y e che mene faccia un tempo como- do y dandocene gli alimenti y e che dopola mot ted'una mia %ta mi ricafehi beni per dumila, o tre mila . Giù. "Federigo io non uoglio impegnar feco tanto lai fede mia , che cercandoegh y che e figura che non dorme al fuoco, e prima che dica di fi uor • va cercare , ricercare per fette riprefe y e mi trouiunfauolone y &doue bora e mi ha giurai fede in qual cofa y egli non mi crederi poi nul- la,^ dolefifi di me. Te. Ditegli chi fono alle jlretteditor moglie , e che io lo pagherò della dota. Gui. E i credo che tu credi y che fia un fanciullo, tu mojlri di non loconofeere y I fo ben'ioche figa ra egli e /he fon parecchi anni che noi ci cono- Jciamo. Ipo. Che ui fare adunque di fare.* Gui. O dirouelo , il tentar non nuoce , Io lo trouero t cofi defir amente > tanto io ci faro quel op era, ATTO che mi farà fofibile . Ff . Guido io mi ui raccomando, Gui. Eg/t e mio obligoV aiutarti . Vogtian noi dire che fu bora in mercato. Ifo. Al certo» Guu I uoglio ire a f rontarto. Ff . Doueuii roueren noi foi G nido * Mo. Se7 dicefÀ il cielo,i uo ueder s'io ci fon fer uno. Gui. I faro in bottega mia Ff. Horfufla bene. Gui. I polito a Dio. Ifo. lo mi ui raccomando Guido. Ice. I dubito che queflo mio %io non mi r'iefca in qu? jla cofa freddo. Glie troffo rijpettofo fer dir neil utro , e> fur tejle penjauo meco medefi- moycbenon farebbe ferauentura men >cbe ben fatto 3 mandar ancor un'altro. - Ifo. Ecbictè* Ff. -Manno* Ifo. Va megli il ca fo ! Fé. Seuoleffe 3 io penfodiji Ifo. Vorrà furtroffo , che dama da figliuoli. Mo. Horfu faccian cofi fe uifare y ftiamo a uedere quel che fa Guido fino a flafera, je egli non fa ra ofera mandiji alhor Manno» Ff . Voi / %auete fenfata bene, tfo. Ohe farete adeffoì Ff . And rò utrfo la bottega di Guidone uoi! Ifo. I UQghoire fino dal Bidello dello ftudio,&di SECONDO 18 fot fubito uengo uerfo mercato } accio che s'io trouafìi mio padre in miglior tempera ch'io non ho fattoflamane, togli dia una battaglia, Mo, O che pofi'effer dato tu a lioni. Ipo. E non ciaccadedire , ofar altroi Ve Niente , a dio a risederci. Ipo. Oggi fottól tetto de Pifani. Ff. Se uoi non hauete hifogno di me , in cafa, e che far cento eofe . Ifo. Va a falle , ma odi qua. Fe. Signore. Ipo. Netta & affetta quella ualigia y & quel f ort * caffè y che quando io lo uorrò domani adope- rare io non Vhabbi a [pelarle braccia, Mo* Spedar le braccia^ la tejia fono e nfloricbe ti poutro Moro ha da queflofciagurato y che ti uenga la pefte y che ti fyenga.O cafa di Filippo doue fe tu condotta , e fi può benedire che infie~ me con quel pouero uecchìo affogaffein mare ogni noflro comodo, e ogni noflro bene: egli che erada fardinon nulla , qualche cofa mori, e qutftochjè cfa fardiqualcofa non nulla ,cam- f Et poteua pur mandar cojlui a Londrt non metterfi un fuopari , di quella età a quel pericolo , bafia che gli parue troppo gioua- ne da non potere e difagi di mare > oue- dremo hora , come e potrà quelli di terra ,che mandato ma tutto il fuo podere ^ e confumaU del tutto la cafa noi ci ridurremo , come San to Nofen con le frafcheal culo ima che a me B vi ATTO toebera il partire: & che riparo ciò ioineffit* no altro che ueder ebequefte no^e non uadino inan%i i ®'* > far quefto che modo pofì'io tenerci Trouar Va^io , e dirgli che quejlo podere non ual nulla , cfri fo che gli diranno ( fagli è buo no che è in aero ) che fu uantaggtato, ma s'io ftorno quefto parentado, ifon cagione che quc fla fanciulla perde una uemura di quefta qua lità , sHonon lofo, il poderua uta , cbefokhc dico! E rifoluto fonone quejlauentura uauia, e ne potrà uenir un'altra , ma [e quefto poder ua aia e non ne uerra un'altro , e poi intanto alla Camilla gli fotràueniruoglìa diftrfi mo naca, €l reflo della cafa far da parata a far* /*i,e7 podere rimarrebbe a noi . Btcofì potrei effere cagione che la acquiflarebbe il paradifo, dila y e io non andrei a cafa del diauolodiqua* Quefto è buon modo a trouar Icario la uali- gia y e guarda cappe fi affetteranno a uegbia. FINE DEL SECONDO ATTO. *9 ATTO TERZO. SCENA PRIMA* MANNO VECCHIO FÉ- FEDERIGO GIOVANE, ADESSO fui canto d e Giugni Gui do tuo %io m'ha racconto il tutto. ¥e. Non ui far egli un bel fartito ? Ma* Bello bellipmo , io fer me a chiederlo a Un* gua , non crederei pater migliorarlo , ma quel Tracio mi rouina. Fe. O non who io detto y che s'e ordinato che Guido gli farli i Ma. Si o- ho detto che gli ha farlato,eche efifcuo te fer che la gli far foca dota y ma ci è ancor TOP* Fe. Checofa! Ma. Che fe fi ua informando , e trouera il fodere non ejfere del fre%%> che Guido gli ha detto\ ferche a dirla come la &i , egli ha mottro U luna, nel fo^o . Ve. Ut fotrebbe non la ricercare cofi fer la funta. Ma. Si gli èhomaccmo a funtoda far eotefto. NI* il nome di Dio , io ho detto a Guido che e ten- ga fu le mani, che quefto tordonon dia adietro, che* non ne da de fifattiogni di nella ragna m ATTO tendiT ed erigo j equando e bifogm , oltre alti danari ch'io ho del tuo del refto della cafa y io non foffo mancare ( s'io douefii uendere queflo mantello ) tinto e V amor e ch'io fortauo a fuo fadre, ech'ioho fonato e f orto ami y quantun que tu fia flato femore buomo di tua tefla , di non ti accomodare di cento y dugento y trecento, e quattro centoducati y cb'io uogliobene alla Ca miUa y come a figliuola , tortogli a imeref- fo,fliemmi a quanto ft uogltono. Te. Manno io m ringratio y e fonui femfreobhgato. Ma. E [e e nonfia contento, ho detto a Guido y che te ne frejìi anch'egli cento y o dugento, & egli mi ha qua fi che fromefjo. Te. Umifa male d'hauere a dar dif agio. Ma. E fi uoltua che tu ci fenfafii, quando io te fa diceuo : malafciamo andare.quel ch'efatto y e fatto del fenodifoife fon piene le fojfe y o ecco Tazio, i me ne uoglioire in cafa y <*ccio che non nfbabbu a domandare del fodere , tu uatent di coftà , che nen ti uegga . Te. Co/i faro, io mi ui raccomando. SCENA. IL FA^IO VECCHIO SOLO. BELL'VSANjZA, cb'èquefla , che a Tiren^e oggidì ogniunouuol fare il li TE R Z O 20 berale y eH magnifico della robba d'altri, al fri mo fe tu fArh con uno y ofe uno ti farla di do ta y fetu di Ve foca, e tiaccoca un tuo fan rie co , sSò fufìin tiio farei, io direi f arotine ,fe fucino in me > efarehbono come foto, efenon^ lo facemmo e farebbono feccore,& fercheioj no inme,enonci fono loro , uogliofare a mi 0 modojerebe facendo a modoloro,io farei fuo r di me y e sHofon riccone farebbono in modo che io diutnterei fouero, e bafla loro forfu or fello e far fettoni , egli è buona cofa flarnel fiano e confortare i cani a Vertale mi credono gon- fiar con le faroleì fer Dio fi, diemini ad inten dere che le ue\le, Vanella, le catene, ghaddob bamenti delle camere alla foggia che le uuole oggidì ogni fornaio , non che un mio farije balie tre y ouero quattro fantefche y una o due oggi di non bajlano a quejtenojlre monne mer- de , fi babbtno in dono y e guardino fe fono da, tanti di fare y che io mi lafci ficcare quejla carrota , e attacchimela • I irò notato con che aflutia, ei fono andati in qutflo farentado , in frincifio ella non haueua nulla . Ella era fouera mefebina alor detto , e fe truouaua - no il buono humo, chefe ne fuffe ito frefo al- le grida y ella era fatta ìfufor^a y cìxque- fto fuffe un tratto fratefeo y che, fono ufi y co- me un Dio uelo meriti, a fuggire la fatica, edifagi fer l'amor di Dio, e far le gujnae ATTO graffe alle fpefe de balocchi ,che eredon loro. Io mi fletti fu la mia , e morrai il uifo a quel mio fanciutlaccio, che ha faura cheH mondo fi fpenga di fanciulle , fi che a lui non ne tocchi uno , mflo che'l terreno non era fattaccio, egli hanno trouato non fo che trecento, o quattrocen- to ducati , e cento li donerà ,e mille in un fo dere , ho y ho , uedt, uedi , che ufciren di faffo, egli hanno hauuto a far con altri , che con un follaflrone crefciutoman^i al fenno y che fé ne ua alla buona di M. Domenedio, e comincia- no a figliare il fanno fel uerfo, hor dico io eh la cofa fi farà, ferebefe la dota nonguafta il farentado,mi fxace , ma fiufufta monna lu na , co/loro fono a fumo a meqgp de carni - no . I fono ufeito di mercato , ferche io uoglio frimacheiodica lor altro, trouare Guigliel* mo Agolanti , che fo che ua a far uicino , e ut dere d\ntendere da lui quel che fuo ualere que fio fodere , che miuoglion dare, a un buon uen dere ,e a un buon comf erare, fai. Scena TERZO 21 SCENA IIL MORO SERVO, T AZIO VECCHIO^ Ma. f\ Eccolo qua fer Dio. F«i. f 1 Se gli adatterannom fino in tre wt- la y eiofarociocheuogliano. Mo. Da che lato mi fo , che non faia fatto a fojla. Fa . Quefto modo loro di procedere >fo che é un tro uato di Manno uolfe. Mo. Si,fii l'ho trouata. fa. Ma quejla uoflra la cofa farà tra uolfe ,t uolfe. Mo. Comandate mi uoi niente M. Va^joi F*i. ADioyUafano. Ma. O i non ho fu no nulla . Fi*, O tu non-odi quel giouane. Ma. I t'ho. Signore. Fa. Noi fe tu quel , che jlaui con Viliffo Raui- gnani i Via. Alfiaceruojlro. Fa. O come hai tu già nome! fio. Gianfagolo da Turila. Ift E non , i fo che ti chiamaut. fio. Il Maro* 7 a. Il Moro fi. fio. Mi fofe cotefto fofranome , quando e mi com ATTO fro e gran fagolomi chiamarono a battefimo. Va. O bene fìa , dimmi un foco quantot che tu fei in cafa loro. Mo. Vicini horamaia fedici anm. Va. E far duo di . Maro iot'bebbi femfre fer bua- mo da bene,? s\o fottìi mai, io ti farei un fer uigio , cbe tu bai eofi mia frati*. Mo. Egli è fer gratia uoflra. Va. Stai tu fiu col figliuolo . Mo. Al feruitio uojlro, & doueio fofìi mai M. F4 %io faruieofagrata , diJj>onete di me, come di un uojlro feruidore. Va. E tu fa captale di me > come di buono amico Mo. Io ui flimo fer buonfadrone. Va. Di quel fouero buomo di Vilìffo non s'è mai foiintefo altro èi Mo. L'ultima nuoua fu cbe quella naue ,fu laqux le egli era roffein mare fer fortuna , noi feri fumo cbe effendo fur uecchio , come egli eri cbe morijje. Va. Cbe fa^ia gli toccò egli andare un fuo fari anfanando ferii marci Mo. ha fui cattiua forte, et le grandi affettarne, ch'egli a jpettaua dinonfocbe granfomma di danari, cbe credette già nonfo fe al re di Sco* tia , 0 come e fe lo cbiamano , & die cbe 61/0- gn4ua,cb'egliandafi lavi fer fona . Va* O cofi fanno quzjti noQnmer canti, fer guada gnare affai> e credano ciò cbe gl 'hanno a fimi- TERZO 22 li perfonag*i, che gli fatano quando e uoglia no. Filippo già mi contò di cotefio credito , & lo metteuaper ferduto t e fu quella co fi che gli fece fermare le facende , almeno poiché 9 ha mejfo la ulta 3 li fuoi hanno eglino rifcofo € danari f Mg. E chi uolete uoi che gli hahhia rifcofii* E la- fció qua un figliuolo, e una figliuola , quefia fe fiata fempre in cafa Mimo, &> quello haue ua a ir la, come e fenti che'l padre era capita- to male, pensò di confumare quel poco cbefuo padre ghhaueua lafciato > i uo dire più la , che per non hauere a intendere fe fuo padre, e uiuo o morto, egli non ha mai ferino colà lettere? che prima a tempo di "Filippo uene fcriueuano ogni di , a non fo che lor parenti Fiorentini, che flauanola. F*. E debbe effere un ualentlraomo admpe. Wlo. Valente fi poi che gl 'ha conf imato ciò che eg! i haueua . Ve. Ogni cofa ì Ma. Ogni cofa , ere nefujfe pure fiat*. Ica. Della cafa qui fenti io dire che VbaueuA uendtt ta a Nlanno, ma io mi penfauo ch'egli bauejfe o maritato de danaril a forella,o fattone capitale Mo. La forella è m cafa , e danari fono fyefi. Tra. Io mi m*raui*lio di Manno . Ma. E M. Fa^o,e bafla og?j di effer tenuto buono. E*. E non farebbe pero a far cof\,ued y egli anco il po ATTO dereche egtibaueua in camerati Mo. La f alla é ballata fui mio tetto , s'io non le do mio danno*. Va. Che di tu di danno? Mo. Dico che ferfuo danno non Vha uenduto, Va, Come fer fuo dannoi danno era il uenderlo y che i foche VUif forni dijfegia , ch'egli era affai buono fodere , & una bella fianca. JM0. Era ? fuo effere che già e facefii miracoli , che fujfe buono e bello , ma oggi e egli una flan %a da confinami affajìim. Va. Che e rouinata * non la racconciò Viltffo* Mo. E non fi fuo dire ogni cofa. Va. A me fi , fi fuo dir ogni ogni cofa l Mo. E non fi fuo dir ogni cofa m dico 9 w mi ui rac comando . Va. Afcoha , afcolta moro. Ma. O la ui tene > deh di gratia M. Ta%o. Va* E a me è* Mo .* E non ui imforta ilfaferto,ea me fa affai, fer cheftl fadroneche feluuol leuar da dofjo, <* dirlo a Mefjer Va^io in confezione , fafefii che iodicefii efuoi mancamenti, e mafiimecer ti f egreti diimfortan^a ch'io nefo,ma che io ne dtfi fur un cenno, e mi caccerebbe un fu*» gnalnel fetto . Va, Oime Dio te ne guardi , ma io ti f rametto fo* fra della fede ma. che ciò , che tu mi dirai,f<$ rafotterra. TERZO 21 Mo. Deh M . Va^io per l 'amor di Dio. F che ui parrà quafi imponibile , perche anch'io non Vhauendo uifla con quejli occhi come lobo, a pena la credereija prima cofa datre,oquat tro anniin qua, quanti buoi fi fono tenuti fu co- teflo podere non ui fono flati fu un mefv , che fi fono rotn'l collo , e capitati male tantoché ha va , e non ui fe ne tien fu > oltre * queflo orni annoilfecco il uento y i bruchi ,latempejla,il freddo il diauolo y e la uerfiera fe n'hanno por tato li tre quarti della ricolta^ quel poco che campa loro imn^tnon bafla mai infino a mar , che kfogna gettarlo ma. Va. Queflo è un gentil podere. Mo. La cafa e tutta jpalcata e in puntelli, ®> anco da pochi ine fi in qua ui fi e cominciato a fentir detro no fo chediauoleriela nottr^io per ms ATTO non ui albergo mai in face. Va. I mi nurauigltauo 3 cbe la nonfujje qualche dei t a {pallata. Mo. Vur da quelli noi ce ne libereremo tojlojerche io non foffo credere che la fa fi quefto uerno } che ella [e ne andrà tutta in uno fa] ciocche fonda menubanno cominciato a ere far delle rifateti che F 'ed erigoba fatti raffiaflrare quefle cre- faecioliy che bora e non fi fare fer ch'i fo che cerca di imbrogliarlo. F*. O come truoua egli lauoratore che uiflia fu, fe uifi ferde la ricolta , [corticali fi buoi, & ut rouina lacafa. „ Mo. Alla ca(a fi rifarà coH dire io la raffetterò, a buoi fi da la col fa bora al lauoratore [ e bora a unacofa&bora 4 un'altra fafete che fi di- ce o*ni male ha cagione ,aUa ricci ta fene in- coi fa il tem forale , eauiene che tutu i conta- dini fono ignoranti , e far loro tffere attrola- ghi 9 di modo , che il dire fe feminaua frima, forebiaua , fenon era la nebbia , e fimili feufe, ecofi fi ua f affando in la mutando ogni anno lauoratore , E faiqueflecofe non fi fanno fubli camene, ferebe Federigo che e uno bargello di quel fatfe y fi fa di forte temere 9 che non u è huomo che dtcefje tantino di male di quel fode re, fi fer Dio uifoda direbbe chi fi ua a infor ma re da uicimffa frefeo. Ta, Hai tu few.to, ferde dicefti tu foco fachegU TERZO 24 er*inpr*tic* di uenderlo , quel cbeenebabbU fojfutohauere,o qutl che ne chieggo filo. Aquefli di , io mi abbàttei che e ne cbiefe 4 un certo fenfaledi pelroffj che e'I marru'hno de fuoi imbrogli fei cento , ducati, & fot [emù cìx diffe V amico non paffarebbe quattro cento d'un picciolo. U. Cacafangue foccio quattro cento ducati e ifon chiaro, Nloro gran merde a te. VIo. Volete uoi comand a rmi niente* Fr affettare la molta e cacciar noicbe non ui andiamo; Se glie fae fuori , ferra giù la Molta , fe torna e ua netU uolta y cke domine fa egli tanto nella uolta* egli [pala, e trama ta fafii } e romfe mura , e r affetta fediti ,cm dura una fatica folo >che farebbe troffa a un f achino. V, che credegli ferofare'l miferae cioì Se a fojla di dua grò fi che gli harebbe fpe fe a farla r affettare , e ne coglie una imbecca ia ,eui metterà l'afte e'I torchio y e bara fatta la guadagnata • luorrei benuedergli huomini far mafferi%%ia, ma non tanto > E forfè che ha figliuoli y ferch e faccia tanta mefcbinita* • Dianzi la fadrona, f emendo che faceua un ro- marche mai il maggiore^ mi mandò giù fercbe iogl'aiutafi, Eglibaueua ferrato l'ufao del- la uolta d'una fama ragionai fiecko y e mi nfpofe con fifiaceuol modo , che mi fame bua no fiu ratta che di trotto tornarmene , fe r la ma ch'io u'ero andata . Sta un foco e ne uìen fu tutto fidato, & fieno di foluere, & di ra- gnatelh TERZO 2; gnutettt,toftoe fi muta , & cauafi un* carni eia che fer loben di me fi farebbe torta , nwe- flefijUanne nello fcrittoìo , e ha fcritto quejla Ut tera y e dice ch'io la forti a Binda Ormami* lonon loconofeotroffo bene y eandrommiagg% rando . O ecco il More, uemura , mia non ui uurrà ir chegVè un afino. SCENA, V. MORO, E TESSA. Ma» T A Prudenza de gihuominieonfijle nel J „ f figliare e farmi. Tef. Moro. Ma. Egle uer,cìfio gli ho tolto quella uentura,ma leuenture uanno t uengano,e foder non maù Tef. Moro y quejlo fordaccio . Ma. Chi mi chiama ? che fi fa lieta f]>efa ? che ci ì Gioiaì Tef O /la cheto , che a gioie & liete (pefe tu mi uincerejli gVocch . Ell'è una gran cofa che tu nonuoglia jlar mai in quejla cafa y Manno t'ha chiamato tanto. Mo. Che uoleua egli t Tef. Voleua cheta fortafii quejla lettera a Lindo Ormami , che lo conofet. Mo. E che ne fai ìu in mano f C I ATTO Tef Venuto a cercar di te . Ma. E fe tu non mi trouauii Tef. So io molto. Mo. Pure? Tef. Voleua ch^gnene portalo , ma io non lù ro- nofco. Mo. Va conto di non m'bauer trovato, Iddio ti fu- ra gratta. S G E N A. VI* FAZIO, IPOLITO, MO- RO, E TESSA» ^*%r f-V Stuta una per fona degna di fede, non |-< 'eetàfpiu la. Tef. A— 1 1 te i comando da fua parte. lp o. E non può ejfere altro cVm tnflo , e fio, chi e fi uoglia. Mo. Teffa quella uolta tu farai il podeftà di Bini- F e cofi n'haueffegli fa recebu Fu^. I non ne domando te gracchia,! a faa direlui. Mo. Che fare qui un uatent'huomo* Ifo. Se ella lo fa y ferche nouolete uoi che la lo dicaì Fioio non fo nulla . Ipo. Potta di, non fai tu nulla, non fai tu nulta 3 che tiuenga lapefle che ti ama^i. Ta%. Horfu ciuttta , e moro di de buoi . Mo. Euotmluuette ftraceo. Va^. Afcolt* • Tef. Cime e f «ggc , che domine è flato. Ipo. O p:%g> d'afina. Tef. H#«£g da bene , : non fo per quel che uoi ut ne cercate > ma il podere é buono uantaggiato» ¥4%. E 7 più trijlo non è al mondo» Tef. O fiate cheto che Dio uel perdoni, che fe uoi btuef.i uiflo la gentil cofa di fichi , e d'uue che tfe Vmnopaffato , uoiue ne farefli innamora to > e che ortaggi , fate uoi.e fi cauo folo di fi fiocchi 0 forte cinque lire , e meqgp. Ta^ Tantcuolte almanco mente per la zpla* Tej. C; ;;e che domine dite nei, credete uoi chs per nomati* io uoglia dina le bugie , e ingannare Vammi mu ? Dime Dio mene guardi* TERZO i 1 F a%. lp olito io crederei , che bora mai tu intende fi che i uoglioeffere intejoA f rimo y non mi rag gionar fiu di quella cofa , e attendi ad altrove farai fatuo, Ifo. Afcoltate Ta^io. Tca%* Tu m'hai intefo. I[o, O forte , quel furfante a fino , m'ha feruito y U non mi terrei mai, ch'io non cercajìì tanto di Vedendo , che io lo truouì,&gli conti queflo bel feruigio di queflo jliauo poltrone , accio che lo tratti y come ei merita, Tef. Perche domine uoleuano cofioro falere quella cbtH podere rendei "Federigo lo ucrra uende- re y io lo uogho ire a dire a Nlanno ^che n&ì gli faccia come della ca fa, IL FINE DSL TERZO ATTO* atto; iiil SCENA PRIMA. MORO SERVO SOLO.' NO I fiam morti facciati, e non ci ha fiu rifaro al cafonojlroja falute llef fa non ci f otre faluare . Tornandoti C sii ATTO adejfo da cafa Btndo da portar le lettere ii Manno, un mio amico m'ha detto peruero, che Filippo padre di Federigo è mio padrone, che noi cndeuamo annegatovi mare , ì uiuo e fa- no&é pur ìx>r giuntoin Virente y & batloue duto alla porta a fan Gallo, far metto quitti al cittadino , e a non fo chi altri. Che diauolo di partito fiai nojlro! e trotterà uendutoil ni- do , dato fondo quafi a ciò ch'egli ci lafcw. Se nei bauejìimohauto un po difpatio , ua, noi non andauamo , però cofi munfafeio, ma in fi foco che pojlio dirci, o farci * Federigo non lo farà , prima ch'io VbMia trottato ,tl uec- cbio farà a cafa . Se io lafcio andar Vaccai alla china Federigo aggiunto quejlo di/piace re,a quello ch'io gVhofatto diYa^o^idara'l maVanno , e fai che e non è forfè fubt to, e che ho ra e gli nonbara cagione di giucare il difpera toife wVaiuto in quejla , i potrò più faalmen te ricoprir quella : horfu adiutarlo, ma ebepo trà lonmfaresHofuf.i tuttoacciaio ìperque fio anco non uoglio sbigottire , ma ecco per dio cofloro, quejlo con quejla uagligia eH fuo fa miglio, eccoluis'io foquel cb'imiuofarexhi corra morto. QV ARTO *| SCENA, IL FILIPPO V E CC HI O, MO- R O S £ R V O ♦ RIN GRATTATO fu Dio, ch'i fon condotto doffo tanti traudii acafa [uno, odolcefatria ,ocara fx trio, , come éfuaue il goderti ? o cafa mia> io ti riueggofure. Mo. Quefla mi fotte forfè riufntè . Tef. O Dio.gli è già f affato l'anno ch'io mi farti, come faranno allegri i miei , del mio ritorno . Mo. Allegri come fe la faetta dejfe loro adoffo , mai lafciami accofiar, che non ficchiate , Tilt. E queflo H Moro* fi e Moro. Mo. Chi , mi Cbiamajleuoi gentiluomo* Tili. lofi , non miconefeitu* Mo. I f affo bauerui ueduto ultra uolta , ma non ui raffiguro. Fi li. filtffo Rauignam* Mo. Doueei Iili. Son'to fero eofi trasfigurato che tu non mi taf figuri ì Mo. Voi fiate deffoìt 'ili. lo fondeffofu M o. Siate uoi uiuo , o morto * Mg. Se tu fa^Zp , che cofa e morto. Mo. Bei fu fur detto , che uo\ erauaèe morto. Fi/i. E non lo fafeua bene , chi ue lo diffe , t fon fur qui Diogratia* c % w% ATTO Mo. O fadron mio da bene , o padron mio buono, i non pofjo tener le lagrime , per la allegre^ %a , uoi fiate eofi a piede* Vili. I t Afi in Bologna duo cauatli di rimetto, & gli ho paffando laf ciati al palagiuolodi cbigh ert no in borgo fanhoren^o. Mo. Etdoue fiate uoi flato fa dron mio* Vili, O lì cofa che uuol agio a conta ria, che e di Ve derigo* Mo. Bene* Vili. E della Camilla? Mo. Benif imo, é fatta grande. Vili. Doue e Federigo* Mo* In mila. Fili. Uorfu aprilufciodicafa. Mo. Oimep airone ,e nou'e fiata cota la dif grati*. Vili* Che dif gratta* Dio m'aiuti. Mo» Voi non la fapcte f Vili* Poi ch'i fono in Firenze, io non ho parlato a fer fona che m%ibbi cono difgratia . Mo- Verma eofli tu, fofa cotefia ualigia fìu qu4 difcojlati da cotejio ufao.. Vili. Che cofa e (lata Moro.' Mo. Vdite } uenite fiu qua , ancor un'altro foco. Vili. Eccegh pericolo di fefte * Mo. Eime e ci e peggio j i non uorret ejfere fenato da perfona , che'l male che non ha riparo, e ben tenerlo nafeofo, deb andiancene qua in cbieja, e fedente. Vili. I fio ben qui, di frejlo . Mo. Ell y e cofa lunga , fate a mio modo , qui ci f c- trebbe Q^V ARTO 29 irebbe f affare di quelli , che ut conofcerebbo* no , farannoui motto y e flurber annodi t Vili Non mi foflHo turar eoji , s'io udrò ferfonai cauamitu di queflo affanno , e efeine. Ma. O comefian noi flati , foi che uoi ut fartifli;i ut fodire, che noifiamofiati fer fare quafi del reflo. Ttli. Cofi uuolell'ire. Ma. 1/ fouero Federigo e flato fer morir fi, t ra fel male , e feldolore , cui fodire ^chegli e ita* lutol'bauer dafe* Vili* O Dio e non ci fuo bauerboccon del netto* Ma. Che ho io a dire * E non u'e flato detto nulla i fili. Se lo fafefi y credi ch'io tlefii a dtfagio , fer faferloda tei Mo. Af? uedi che ingegno ha queflo giouane . fa co» fa e fure flata , ch'era come e uoleua , o che fi gliuolohauete uà da bene. Voinonfufli farti toni d'un mefecbeglifu detto , che uoi erauefeun mondo. fili. Qredolo. Ma. E mi /i male che uoi flute qui w fiedi un fi? ATTO uoftro. fili, ha uoglia di fa ferie miedifgratie ,non mi fu ceua aueder di difagio , ma non bai tu la chi* ue di cafa. Mo. M. rio eWba Federigo, fili. I non fo già fer iftar fuori tutto il di t Grillo ua colli dopoH canto ferun magnano. Mo. Nonandar mo y non udite uoi.che in cafa non fi fuo più , ne tiare y ne entrare, f ili. Cbe uuol direi Mo. ha difgratia noQra* Fili. Che We egli rouinato i falchi * Mo. Nulla, dite fiu fiano. "Fili. O perche dunque non fi fuo entrami* Mo. e f iena di fonti. Ft/iì Come di (piriti f Mo. Oime, dite fiu fiano , che non fi fcuofra quel . chefinoa bora e flato f egreto y deb andiancent qua fadron di grana. Fili. I fio ben qui , di fu di quefli Jpiriti. Mo. S'io aggiro coklui i fon d'affai . Saffiate fa* dron mio ,chequefta cafa e flato mort'uno. Fili. E chi ce Vba morto* Mo. Colui da chi uoila comferafti. fili. E che ne fai tu* Mo. Dirottelo, Federigo uojlroera guarito di fochi di y di quel male ch'io ui diceuo adejfo , quan- do una notte io lo fento , che e grida a tefiajo corro in camera fua,elo truouo nel me^o dello fpa^zp mefgo morto , o- dice che dor- mendo ? uenne uno alla uoltafua y & fi glidif QJV ARTO io fe. Quanto mi uuotu tener [otterrai*, quefl* cafa. 'E ili E doueua batter beuto tr offo , Difit ben'io , che cofa è giriti • ua fri Menano tu . Mo. Non andate , di gratta uditeti reflo» VUi. Horfu di fu. Quejìi fanctullacei fe fentano art dar una gatta fer ca\a,féfan che fia un ftnrito. Mo. O Dio uoleffe che la coja fi fujfe ferma qui. TilL Seguita Jeguita. Mo. Dubito Federigo che non fuffe qualcuno,cbe gli mUffe far la fefla&fcce cercare la camera e tutte le flange di caja i non trouaro nulla ,ce n'andiamo a dormire , iui a un fe^o, e Vede rigo fa il medefimo uerjo , io corro la, men tre che io li domandocbebau ete uri , e mi fen- to dare un guancione,cbeio ballai di qui cola. Hill. Doueui bauer beuto tanto , cbeH uxno m face* ua girare. o. Voiuoletefur uojlre burle , quejla trefca fu ogninotte , ty fentiuafi fsrcaja fpcffo,jpefforo mori y come batter forte , e finejìre , rompere mura, tramuttar caffè, battere ftade in]\eme y romfere , e cofefìmili , cbe fer dio banno ba- ttuto a farmi fpiriure. Federigo fer uedere donde quefla eofa frouiene , freje farere col fuo confeffore. Iìquale ui uenne , e arreco fur di f egreto mille reliquie , ma fi acqua a mu- lino . Djfot fecctono cercare tutta la caft fer uedere fe ci fi trouano quejle benedette C Vi ATTO òffa di queQo morta >etra l'altre eauornogiu nella uolta dinanzi fiu di tre braccia a itti* troil terreno. tili. Oime i fon morto , e cbem trouafti* Mo. WaII*. Fi/i. Giù nella uolu dinanzi Jotterra non ui 'muf- fii nuli a* Mo. Nulla mejfer no. Vili. Chiaro* Mo. E' certo . Wdh Ne fentole di terrai Mo. Ne fentole , ne teff/. F//i. O fciagurato a me io ho fatto del refto . Mo. ha ua bene , e comincia a dar fede a quefta fa- vola, Fì/ì. E ha tteuate uoifer un cafo fimtle , a nuocere f nto fofra tutta la ca fa. Mo. Voidite un cafo fimile, fer dio fe uoi bauefiìfen t'ite le diauolerie che fi fentiuano m quefla cafa, cui farebbe faruto un cafo che fona fi ilfre^ %p, fcofrìrc il tetto non cbecauar nella uolta. fili. Ck w 1 aiutò cauare ì Mo. Vn'ofera io che noi togl itmo. Ff/i. Egli bara forfè troùato qualcofa , esortata* la uia. Mo. Si e tfbara fonato un teflio , o uno (lineo d'un morto. Vili. I fo quel ch'io midico:nonmi hauer ferfa^p. Mo. Voi non ui battete a fidar di ferfona 9 e fard4 Qjy ARTO 31 uoi fe pur uoi haueuate tanta paura del mal che Dio ui dia. Mo. O noi ui ftemo fempre un di noi [eco. fili. E non trouafii nulla > e andafti tanto a fondo * Mo. Andamo cnon trouamo. fili. Oime e miei danari fon iti uia. Mo- Bora tra per il malfrefco , perquefiepau re y Q- perquefti dtfagi y federigo ridette giù del capo, chiama medici da l'acqua da gli im brogli y e fe n'andò quafi amara ualde:Ut fer che in quefla cafa non ci era ordine a flire y Manno ci condujfe tutti in cafa fua ,equtferrò bene y cauatone prima ogni migliornamento^ cofi s'è fiatale fifla uota: fili. E uolle Manno che quefla cofa reftaffe fola. Mo. Chiuoleuate uoi che a reftaffe a gli fcber^i di quel diauoloì Tilt* E m'ha feruito da amico. M# . Voi ha uete il torto , perdonatemi che Manno fatto ognidth*entta* fili. EU fo , 0 Dio che rou'ma. Mo. Par dofom* lunga tirata , fedengo fi folle uò dal male , ma rimafe niello fpiritaticcio, tanto che e Medici lo confighorno , che fe n'an daffe mutila a figliar aria, ecofie u'ando^ flauifi , & gli ha giouato , ma non pero quan~ toe Vharehbe fatto urìaltro y cbe vorifujfe deU* conditione cbeluij ui prometto prefittemene fa ie , che a quel giouane è doluto tanto hjjisn ATTO. dio cbceuedeua , che fi faceti* grande, che e fi aggiadaua dentro ^efenon ch'io iho con f or* tatofemfre , a noncifenfare , dicendoli che glibuomini fanno la robba , enonla robba gli hucmini, e che eWera fatta fer (penderla a hi fogni , fero attendere a guarire , che guarito tghfe la fotrebbe racquietare, cafilo caux uo di quella fantafia , f farebbe im fatato y o Dio i non uidimaiun gtouane a fregar fiuU robba di lui. fili. Egli ha a chi famigliare, ma nonfoieua fero effer fua ufan^a. IWo. he i ai fa dire, che e fe fatto , foi che ftffedb4 uer a farejglidiuentò fiu flretto d'un gatto. YilL Adunque la cafa t uota del tutioì le robbe do * ne fato? Me. In cafa Mano y èin uilta qtle che fono aurate. Tili. E [a chiauediquefta cafa fimdmenteè'nuiUai Mo. M.fi y e l'ha Federigo inudla. Fili. Korfu , to fu cotefle robbe tu . Mo D jue uoletc uoi andare in uitta * Fi//. Avdrommi a fofareincafa Mannofu intanto andrai a dire a ¥?derigo y com'io fontornato. Me. M inno fi a qui y i fon morto. O fadront io non mi ricordauo didiruelo,oefono flato fer fami ha uerimagita a diletto MZnono in Virente y che fintando que[ta fiate in uillaa S.Caj ciano co la brigata & non è ancor tornato in Tiren^e* fili. Come * o la bottega chefaceua? M o. Guidala il fuo nifcte. Il meglio ebeuoi fofiit QVARTO 32 te fare ( fendome) e Vandaruenecofli in uitla uo finali uoflro figliuola farete in cafa uoflra potrete ripofa rui anco comodone non ha rete a fa per grado a amicone a parentele fa pete che * non fipuodar loro tantino di difagio, che fanno cieffo a bel agio uot potrete penfare di pigliare una ca fa a pigione» Blu I uo tornarmi iu cafa mia, io non ho tanta paura cofifuffe a ordine .come 10 flaret fta fera. Nlo. Il temporale ui darà confetto per bora, poten- do adagiateuiincafa uoflra* Ft/i. Tubai ben detto. Ho. Si f ufi in uoi , 10 me n'andrei più fconofciuto, cbefuffe pofibile , ne uorreifàr motto per bo- ra a perjona , accio cbe qualcuno non dicejfe, per cbe non fe neua egli in cafa [uà ,qui m firen^e ? cbe io non uorrei cbe quejla cafa fi ac quiflajfequeftonome d'ejfer piena difpirti.cb'io uorrei non la potendo liberare poterla daruia. Ft/t. Cbe uenderia? 1 non lauo uendere, poi cbe Dia me l'ha J alitata, il guarrò berftof poi non ere di tu , cbe fi fappi per Virente il tutto* Mo. M. No, non fi fa nulla perche Manno , e Fe le rigo cibanno ufatouna diligentia eflrtma. mli. Può effere,ma i non lo crtdo,pur queflo non im portale non altro ioanderò turato, perche inori uo far motto a perfona in queflobabito. Nlo. Voi fiate fauio e prudente. fili. Horfu andun tu. E tu Moro! - 1 ATTO Mo. I ho che far ancora un feqgp * w ^ire n^eje non ui accade , oime andate uia, ecco brigate. Fi//. Inouuodire a perfona chifia tornato. SCENA. IIL FEDERIGO, E MORO. Fe. f^I trotto queflo furfante . Ma» No , no, turateui pure. Guarda fe eojlui giugneua a tempo . Fe . Er cola qua per Dio , Manigoldo, afino* Mo. Vadron noi fiam roumatu Fe. Selpoltto. Mo. Deh lafciate andar bor cotefte > che fon chiac- chiere\uedefti aoi colui , con eh io parlali» cdffi. Te. Io uidi il m*lan y che Dio ti dia . Mo. Quello e noflro padre , che e tornata Fe. Come mio padre che è tornato* Mo. Quello èdejfo,euifo dire che fe ùi uedeua,chc uoi mi ajjettauate bene, TilL Che bagattelle uuo tuì Mo. Egli è per Dio , fi afe y enon e tempo da far le marauiglie, ma Vufcio dicafa s'apre^em* tequainchiefa,cbe nejjunoci wpedijca. Fe. Tum'bai morte. QJV ARTO ^ SCENA IIIL TESSA SERVA SOLA. HORSV ione cercherò . O fia poi con tanto dire , i fa conto , che fi debbe bauere a ir con dio 3a fera e non fi ut dt mai fin fratelli , che glè almeno da ciò , ti fo dire che e farebbe meglio perderlo che [mar mìo > E meglio farebbe flato per lei che fi fuffe itocon dio , quando Tilippo ( diogh perdoni) andò uia , che ellharebbe pur qualcofa , doue ella ha poco o nulla , che quel poco che gli è re- ftato^ndara uia y cbe¥a%ionol domandauafen %a caufa quello che il podere rendeua j I fta detto a Manno , e* Ve parato faifl che fene fia fattobeffe^a a pojla tu faefti c&uetMìft*àl tra uolta farà egli un cafo , come [e tt&ìfejfc del fuo } i fo che chifentijfe mi terrebbe pa^t, edirebbe che imi defii delti impaccile! Vxoffo, maemiincrejae di od 1 m wèftncivMi'yh quale rimane, je quejh fw na i<& ì atta fe Dio non te \ n4uentura,ainuecchiarfimc, tarfi a qualche rovinatolo a qéatebe %o che uogha moglie di gran taf a : nal^arfi ? borfu lafciami ire a uedtre di qus fio famafiico* ATTO SCENA. V* MORO, ET FEDERIGO. Ma» ^ y O I ui farete f rima di lui che ua ada \/ gio,quiui trattenetelo il fiu che fia fof fibile, dite di batter bauto due uolte ma tefate y chenoicici rifcontrian nel dire, che non fiauegga delloinganno. Ve. Tu uuo fur crederti , che egl i bahbia a credere unacojachebara mille fruoue in contrario. Mo. Se uoi mi date Jpa^jo duo giorni foli , io baro quaranta huomini degni di fede che diranno chè uoi hxuete jpefo 400 .ducati in medicami barò da uno jpetiale un conto, cb'èfiu la. Ve. Tu trouerat fot. Mo. I troueró non ue ne dubitate , femfre fu , e fem fre fia , chela maggior farte de gli huomini hanno fiu caro y diac%uiftarfidelliamici y ehc di direH uero. (uenduta* Te. Be della cafa , come farai tu che la non fia Mo. Trouerò Manno y conteroglt il cafo y moftrero comeeWèfacil cofa ricofrireil tutto y fur che e dica di flarci dentro a gigione. Fe« O coftt fla il funto y cbe non uorra bauendocom fraia^ Mo. Gli diro che uoi gli farete cedola di uoftra ma no di ritornarli la cafa fubito t che'l uecchio QV ARTO 34 muore, e di fatarli tra tanto la pigione \ Hi buomim hanno fempre curo ( benché e non fie- no) d'effer tenuti huomtni da bene. Se Min- to hauejfefa'putoche Filippo fujje uiuo , e che doueffe cofi to$o tornare , non ui f enfile, che eghhaueffe compro quejla cafa ,hor che gli è tornato , io f enfo che gli parrà ben fatto a fi- curarfi della compera , e reftare amico di F< Uppo. Te* Si , ma tu gli hai detto, che non ci fla entro ferfona. Me. In quelli duo dì che uoi flrattarete il uecchio inuiUa farete , che Manno fgombri, o fi noi diremo, che ci fia tornato da duotdimqua per uedere , fe certe beneduioni > che le haueua fat te Vhaueuano libera dallo fptrito 'Mi io difòj che non lo fapefit, lafciate pur ricoprir a me quefla cofa. le. lo per me non eredo che a lungo andare, e fi fojfa tenere, che il uecchio non rifappia ogni cofa. Mo. Se uoi non gnene dite uoi jleffo. Fe. No coteflo , non fa rò io. Mo. Non lo faperà adunque , perche pojlo che gli fuffedetto ,che Manno haueflecompro U fua cofa é tornami j uot potrete dire noi dem- mo fuori quejlonome , accio che e non fi fapef fe ne per che , ne per come 5 il che ejfendo raffermo da Manno in chi il ueccbio ha fiufe de che gVV noveri nello Spano y e afreffo ufcen dofegli di cafx , & tornandoti HUif p o y che con touolete uoi che tenga di quel che fi dica fuori il popolalo* Andate ma y cì)eH ueccbio non gin gneffe inan^i a uoi y e fujje guaflo il tutto y e fe per forte uoi ue lo uedefii inan^i fer la uia y da tela fe tragetti .enon ue li accodate , uoiloue drete di dij cotto. egliba unfeltrorojfo y un c4 pellotanto , & un galuppo con una ualigia. Te. I uo y laf ciati nuedere ila fera , àfi fa ppi co mepaffonlecofe t , Mo. Io ufcirò al ferrar della porta, per Dio cbefe totmhaueuoquefla cofa con che metter Fecfe-j rigo nel penfatoio , io baueuo da lui altro che grida , in modcbaueua I polito foffiato nel bof~ folo 5 purfjejla cofa I ba concio , che gliè co~ m: un agxUmo. Horfu aferuirlobene inyue U ^nma cofa i uoglio ire alla uolta di Manno , doue lo trouerùin taf al no\ ebegli e buonotta y efia in mercato , cojlui a debb'ef* fere flato mandato dapoeoin fta, e come e ut guardando* torno* Q_V ARTO 35 SCENA* VI. TRA VESTITO ALIALE VANTILA SOLO, DV E cofe fono infra le altre ck ci poffanofar fareogni cofej'amieitit, e Vuna ,eH danaio e l'altra, quefle duecof e rihanno fatto oggi diuentare dipog gibon^ffeGreco.htndo ormanich'é un di quel li amie 1 che mi fojfon comandare ,per non fo che fuo effetto m'ha feto trauejlire in quejlo babito , datomi qui due lettere ,Q*uuole che io dicadiue<:ird , Andrinopoli,Q> arrecar que- lle da un Filippo Ramgnani , che fecondo che c dice non è al mondo ,&cbi dia quelle lettere a uno ,che dice, che jlafuquefla cantonata, o comediauolo ha egli nome tuedi che me lo fo- no [cordato, hor lotruouo , Benede , no tante 10 non me ne ricordo, ma gli importa foco il nome^fenttofu una di q*A?jle lettere ,e febe ne i non fo leggere , il primo che ci paffa che fappia Reggendomela , me lo ricorderà , bajla che io nomidimentichiYilippo Kàmgttam, drinopoh non dimentichile io ui fotti gut più 11 duoi anni con Bindoli cafo era che tre mi- la ducati cheto ho detto dihauere arrecati per maritare una figliuola di quefto Tilippo f ufi- ATTO no in mano mia in fatto, come igh bzbauere tnboec* in ferole , che e farebbe ageuol cofa, che Andnnofoli mi riuedefii , sfarei comedi ceua uno mio amico. Egli e meglio perdere mo amico y cheunbel tratto, SCENA, vii- MAGNANO, FILIPPO, TRAVESTITO» I M*. A Ou Tilt, Ji \ Qui duo ,enon farebbe ben di me s'io non mi chiarip , i uoueder fé quejli fyi riti rihanno a manicare. Tr. O ecco di qua uno,chemi leggera le lettere, ledi. Queflo 1 1 "ufcio:afri, guarda ch'io credo che ui fulaflanghetta: Ma. Inongheuoioaurirmo. fili* Perche caufa* Ma. E che haui a far uu de quefta cafa, fili. Eww. Ma. Non è uoQra no, el ghe fta un giouan tan ma- la ferfona , chinon nùuoio impalar fege fui. Egli e mio figliuolo Ma. Noe uojlrofiolo no , no, F7i. Màfi,e uien qua, aprilo dico. Ma. Che teparejfera hxecan an y al corfo delta uer gene Maialena y che mt uienuoia de darti un Q_y ARTO 3 6 gsnafcion da far [cucciar i denti , non odi ch'io non gbeuoioaurire. TV. Gbe fo y affrontol o io ancora* Hi. O afino mamgodo, che tifiachi . Tr. Deb gentil buomo leggetemi a chi ua quefia. idi. Dènonmidarfajlidio. Tr. Perdonatemi^* elie cortefia leger una (etera fili* Rorju da qua. Al [ito amato figliuolo Federi- go di Fil-ppo liauignani in Firenze j che que fio cbefcriuedt figlialo , al mio figliuolo Ja va un frate , ch'ogni cofa s'affropnan, ce- rne loro. Tr. Equeflacomedieei Tr. Domina Manno leniti amico chmfiimo in Vi ren ^d onde uenga no. Tr O di difcojlod'Andnnopoli. m Di chifelecitoetlfaperlo. f r. Dal padre di quel giouane y a chi ua quefia. ili. Come da tuo padre tu erri. jk Votrebbeejfere , non e auefia quella che dice Fe de rigo t ili. Quefia e dejfa. >. Adunque non erroio. ili* Che cofa e quefiaìl fon oggi lo Diode cafifira ni ; Ut doue fi truou'egli il padre di cofiuiì >. In Andrinopoli. Fili. Bcheuifa? >. Quel che ut fanno gli] altri mercatanti, fa la robba per poter tornar poi a Firenze a far la eonjcientia. ATTO Fi/i. D/mmi hauefli tu quejle lettere da lui in An- drinopoh* Tr. DaVilippo 'Rauignani proprio Vhebbiin A«- drinopoli. Viti. "Et conofcilotuf Tr. Comecché fono fato Jecoin quella terra quat- tro anni opaco più. Vili. O come può ejferquefto y che un'anno fa ,c fi par tidi qui ,e andò in Inghilterra. Tr. E di Inghilterra fi parti poi, e andòin Mirino poli . Vili. Afe fi i che le fono in un paefe medeftmo. Tr. O r he We egli pero da limo a l'altro* Fi/i. Più che non e di qui in Inghilterra. Tr. Stagliando di qui in Inghilterra econdulfeui fi , ckuci fapete , egli fe poi che uoi non fa- fete condotto in Andrinopoli , non fapete uoi che il mondo e tondo ^ che da un luogo a uno altroh ma e piana tutta ^eccetto Verte eie- chine. Fi/i. I fo che tu debbi ejfere ubriaco y ofi tu non mi vuoi direil uero d'onde quefle lettere uengano. Tr. "Elle uengcno da lui y fe uoi uolete , & anco fe non uolete , dattemi le mie lettere. Vili. Afftta iouoglio intenderla bene, perche Ti- lippoèmioamico. Tr. Ut pero induratemi che to gnene faccia bue* noferuitio. F '/t. che fatura e la [uj? Dliuomo dV ARTO 37 Tr. D %uomo cred'io , che fo io, che cofa fi uuol dire flatura. Tilt. Vo dire ft glè grande,piceolo } graffo,magro* Tr. Coftm ne uuol faper troppo , "Fili, Che trappola fia quefta > tu non rijpondi* Tr. I ero adtffo nel altro mondo egli è un graffo, fili. Come graffo ! Tr. M. fi comprejfo , con buona pancia* fili. Be tu non lo conofct . Tr. Pe rcbe non l o conof ch'io ? Fili. Perche gl 'è mag ro , [ecco al pofiibile - Tr. Arder po fi egli . oparueglt fi gran fatto , che induoi , o tre anni, chedebbe ejfere che uoi non lo uedefle , e fia ingr affato i Vili. Come duoi o tre anni * Tr. Sta bene , la mi par quella del corne^ quando, o perche fate conto sHolo conofco& bafliuique fla a fami finir tutte le marauiglie : E m'ha iato tremila ducati d'oro,che io gli arrechi qua a queflo fuo amico, per che e maria con efii una figliuola che ci ha grande, parueglt ch\o fio} fuo amico i fili Come tremila ducati ? e chi te gli ha datiì Tr. O uoi fingete , o uoi fiate femphce , non Ndite Filippo Kauignani, padre di queflo giouaneì f fette. Fili. Se tu uedefti queflo Fdippo,cr edere fli tu nco- nofcerloì Tr . Oh non mi marau\glio,che uoi fiate fi magro a d ATTO quanti impeci uoi ui date defitti dd cotti- fagno, Tilt, I mi doim faccio de miei , che tu fei un tritio, e un ladroncello, adire d'bauer kauute lettere da mo ; chiù non louedeftì mai, e menti per la gola ribaldo, Tr. Vecchio fafete uoi quel ch'i ui ho da dire , non entriamone criminali , che' uoi fotrefh trouare quel che uoi andate cercando , rendetemi le mie lettere , chefer Dio , fer Dio. ff ili, I non te leuo rendere , che 7 p ad re di coflui y d4 ehi tu di d'hausrele hauute fon'io. Io fon Ti- hffo Raugnani intendila ,Q-m hai tolto que fli tremla ducati , ch'io haueuo fotterratt. Tr. E andate a far lari a nette di btffana rim- bambito , Tili, Rimbambito io e , hatu bauto da me quelle Iet- terei Tr. A diruti uero jo uoglio hauer ricetto a l'età , & al luogo doue io fono, I non ui conofeo, noi ho bauto da uoi lettere, non ho uojlri danari, non ui uidi mai fiu 3 0- anco bora non mi cura uo di uederui , non fiate uoi fero fi bella crea tura y date qua le mie lettere» Tilt, I non telauo rendere. Tr, Ticcauuela dietro , non fono in temfera , da combattere con fama [ime. Vili. I me ne uoglio ire a giotto ladroncello, Tr. A nd atenene alle forche . QJV ARTO 5? Vii L Vii n qua . Si e m'ha funaio di calcagna , p> itero* me , che cofa è (la quejlaì quejla fiata* eerto qualche tra f fola étefa a mie tremila du rati i e nona è fero altn y che Marno y che gli f affla y benché quejlo bauer cauito nella uol- ta y miha roumato . Cojlui àiced'hauerh feco* Se fufino i miei ,a che fare arrecarli a Man noi tfee non fono , fercbe dice egli y ch'io gne ne ho dati* SCENA. VIIL TESSA, SERVA, <• ET FTLIPPO. IN buona iteriti che la Camilla non mi manda a cercar di Vedendo mai fiu. I uo nedere s'io f offa rinnegare quefta eo- ft un fo meglio leggendo quelle lettere» Tef. ifono jlata fiu aggirata, cht un'arcolaio, mi. Oime chi ha ficchiuto Vufcioi una ferita , i uo fa fere quel , che la ua cercando. Te f Ogni unoj non lo fo , i non Vho ueduto. Mi. O lacche uuotu di cotejla cafa ? Tej. Carne che ne mgho * ola non fi nenie ftìi/l* \ ' f) il À«T T O te ucnduta non fono ancor xv. di 5 uoi ui fiate leuuto tardi. Viti. Come uenduta * e chi l'ha comperai Te/. 1/ mio padrone , cìx ci fia dentro . Vili* Come dentro * 0 fluitegli perfonai Taj. Che f enfiate che noi fi un forfè beflie . ? oe faran no tutti morti, che non rifondono, e 10 non irò uolachtaue. Vili. I fono fu loimpa%%are y ^dubito che quel tri- flo del NLoro non m'habbia agirato . Dimmi non cifi jente egli fptjfo romore di [piriti* Te/. V ' Dio cene gua rdi . Vili- Cotn'ha nome il tuo padrone ì Te/. M^tio beni^ii. Vili. Oime Ni* nno Vha compera egli ? e da chi! Te/ Da un garzone de Uauignani y di chi l'era* Vili. Ucci Manno in Firenze, che tu fappi* Tf/. W.fìyio lo lafctaifu in quella cafa nello fcrit- toio foco fa. Vili 0 1 fon chiaro . Quella fanciulla de Rauigna- m tiènla egli più in cafa i Te/, ha Camilla* NI. fi. 0 fur trouaiquefia chiaue. Vili- 1 la uorrei uedere , e hi fon' uno chele reco no « ueUe di fuo padre. Te/. O e non e uiuo fuo padre y Dio il uoleffe. Vili. E*/i è uiuo y e fano >eio gli ho parlato. Te/. O uenue fw.che la pouerina Vhara unto cari perche la crede che fia morto. Vili, O caja mia . Ringratiato fia Dio. IL FINE DEL Q^VARTO ATTO* 3P ATTO. V. SCENA PRIMA* FEDERIGO, EIPOLITO. Fe. TpX E H lafciatemi lf olito dìgratia. I(o. I 1 JSTo« fiate meco cofi ftrano, ditemi, che ci è di nuouot Ve. I fon rouinato , mio (ad re è tornato» l(o* Come tornato uoflro (adre $ adunque non ers egli morto* fili, ha co fa fta com'io ui dico . ì(o, Hauetegli uoifattomotto * flit. Come uoUteuoi , ch'i fi* Ardito di captargli inan^i* ì(o. Che cofe [ciocche dite uoi ! fiate uoi forfè un futtoi F ili. Bime uoi far facete quel eh 'io ho fatto fot che fi parti. J(o. E (er andarui con D io , farete uoi forfè che'l fatto non [tafano i Vili. E a queflo s'aggiugne che'l Moro rifeontran» dofi in lui y & jo(ra(refo da fi fatta nouita, f er ricoprir che non fa(ejfe tutti i fatti miei ai un tratto ,glidtttead intendere che in cafa qui ui non fi può habitare, ri fletto a certi {finti, & ch'io mi flauo m mila, & auìolloquiui^ ra~ ATTO grigliandomi del tutto,metfandauoratto y fer entrargli inar^t ,e giunto alla fona a fimi, io uidiqum feimouno, ilquale,fer quanto me Vbautua figurato il Moro , conobbi che era un feruidore , che mio fadreha menato [eco) & ui ftolo folo y me li accoflo, (? domandandogli do ueè il fuo fadrane,egli mirifponde, e mi mif fefu la (Irada dritta , <& mi dijfe affettami al la forta Stornò indietro folo fer far una fua facenda ; lacuale non fuo effer altra $ che non gliejfendocafacequefiafauola del Moro, t uorra informarfi da qualche amico y trouera chela ca\a e uenduta , & che oltre al danno,eght ancora, fiata fatta la beffa, fi che uedete horuoi , in che termine io mi truouo* Quanto a me s'io fuf.i ne f ledi fuoi ] tofani fiu conto del fecondo che del frimo , fer che lo baueruoi fpefo troffo.é un male che fidaatut ti,o alla maggior farte di qudgiouani,chenon hanno fofracafo chi gli raffrenai ma queflo del aggirarlo^ flato frof rio unuolerlo menar fer il nafo,come un buffolo , furee non e/e- guìtodi conjentimento uollro, e fero ui confi- gli a trouar uofi.ro fadre confettargli da uoi fitffo j tutto quello che uoi fafete, che e fuo faferda un'altro , & moflrarli che tutto e fe guito , fer non Jjferui uoi cojì regolate^ ma flrargh, che quel Moro ha fatto , non i fiatodi uoflroconjenjo j Vojlro fadre e buomo che fu QJV I N T O 40 ingegno , ^ difcretione, e ueggendo che al fat to ncn è riparo apporterà in pace y duue che an dandoui uoi con Dio y uoigli aggiu e andarne alla uoi ta di Eolognaje io poffo tannila- per uoi, fate ilima d'bauerui un fratello. Deb "Federigo digratia. Perdonatemi , io non uoglio in queflo cafo con figl io, perche io fon rifiuto. A Dio. "Egli e huom ormato . Ne per queflo uo retta- re . Io lo uoglio affrettare , s'io douefii andar con luiinfmo a Bologna ,io uo uederdi cauar* gli del capo queflo farnetico } e dium ceruello, fenon altro perijlracco* D iiii ATTO SCENA. IL MORO, IPOH TO. Ma. T A rouina non uuolmiferia, fattegli che | j tutti idiauoli ballino a un fuono. Ifo. O ecco queflohuomo da bene , Moro ! Mo. Che duuol , o NI. lf olito , ferdonatemi. Ifo. I /o chedian^i tu mi fsruiHt con mio fadre. Mo. Voleuate uoi cb\o dicevi ,cie rendevi foco ,o affli* Ifo. O tu fei il fine ribaldo , ma lafctanta f affare. Tiliffo è tornato ei Mo. E di che forte > io fenfocbe egli babbia a cor* ter Virente al romore. Harejli uoi ueduto Fe derigo , che m'e fiato dettole e ueniua adeffo in qua a cor fa. Ifo. "Egli è ito in cafa cofli a fua forella , f e r certi danari , e uuol ir fi fia fera con Dio. Mo. O cotefla è deffa. Ifo. lo mi fon fermo qui, che fe io fotrò, io non lo uogliolafciar f arar e. Mo. M. lf olitoio ui darti un buon configlw. Ifo. Che configl io e queflo Mo. Lo fi a r uoi qui a fregarlo , farà un battere il cafo nel muro , fer che Federigo fa come il forco ferito , uedette inan^i femfre y uoi non lo fiotterete. Ih otu fei trillo. Ma. E Ni . Xfolitofocomifrofitta , ma non perde- te tempo , ma s'ioui uolep 9 doue farete uoii Ifo. Da uacb:reccia , in pianga , o dal Diamante infìtto in mercatonuouo e mitrouerai fempre* Mo. Horfu feguite felicemente . Ifo. Moro babU l'occhio . Mo. E le orecchie , e le gambe barò forfè da irmene infino a 'Lucca , o a Siena ,/e la cofa ua co- rnetta cominciato. oeceoRindo, forfè che egli tnifapra darnuoua di Filippo, oiola darò a lui. SCENA. III. B INDO, ET MORO. Bfjf. TT T ANNO per non uoler parere di \\/\ ' ,4 ^ er trouatujue tre mila ducati 9 cbe * Filippo jotterrò , dianzi per U fu* ferua m l mandò certe letu re miauisò^he trouato une & uefluoloatla Uuamina,&di~ Q^V I N T O 4* rendo di uemr d'Andrwopoli da Filippo. Mo. O 1 fento che nomini "Filippo Bw. Et di recare qua a Manno y e al figliuolo di Fi lippoquefli tremila ducati. Mo. Caeafanrite , quelli farelbono per me. Bm Che Manno baueua difotterrati , & che egli mandaua feria dota di quella fua figliuola. Mo. Che ragiona e*li di dota y e di fua figliuola { B;«. I trouai il prof a , che già uenne meco in leuan- te , dvtteglile lettere , e mandalo. Mo. I me liuoglio [coprire. Dìo ui coliti M.Bwcfo. Bin. A Dio Nioro , Che fifa * Mo. Il [olito i paueri flentano , e ricchi zpdanoM* uete uoi ueduto¥4i(po ,0 fa predimelo mfe- gnareì Bin. Qnal Filippo* Mo. "Rauignani mio padronesche e tornato. Bifl. Ah Nioro , Moro ett'era pur opera delle tue* fempretu cerchi far garbuglio , 0 da qua quei le lettere da. Mo. Che lettere Nl.Bmdo* Bm. I diro che tu credi , chela fi* una burlai e egli ben umo fi ,non dubitare. Mo. Chi e uiuoì Bwi. Filippo Kauignamtuo padrone. Mo. Diauolo che ^10 gli ho parlato , che io babbiaì a dubitare , che fia uiuo. Bm. E colui ,acbitubai toltolettere y efuoman- dato* D vi ATTO fào . I non credetti , che un far uojlro uolejje la bai* di un f oneracelo far mio j egli e uiuo , e fino buon frogli faccia ioVbo molto caro y che io non bebk mai da lui , fe non bene. Infegnatemi doue egli é ife uoi uolete y chi lo leuò fer co* fa che gli imforta. Bw. Bgliein Andrmofoli. Mo. Sta bene. Bttf. Sano e gagliardo y e falla bene. Mo. O i iho ebaro. hin. Uba ferittoaManno y eaYederigo y eame y & ha mandato tremila ducati fer la dota della fi gliuola , & tu faretti un gran bene (fetu non Vbai date) a dar quelle lettere a Nlanno y a "Federigo . Mo. ifloa uedere f * uoi dite fur da uero\. Bin. Uorfu Ju Manno fa f tra il tutto y Uguale deb be forfè effere in cafa. Mo, I tni tengo aftuto y efo quafi frofefÀone di agi rar , e %uefta uolta i fon fatto fiffero di mon- tagna. SCENA. Ili h TESSA SERVA, BIN- D O M O R. O ♦ Te/ H I ficcbia . Bw. I E' Nlanno in cafa ! TeJ. ^~ / M. fi , uoleteuoi cYxogiiia nulla! QJV ARTO 43 Bw. Che fa egli* Tef Fa feti* al fuoFiliffo Rauignaniycb'è tornato. Ma. Che gli e cofli in cafa è * fer Dio Federigo ha, dato dtl cafo nella rete. Bw. Tu debb'effer fa^ga y Filìffo non e m queflo faefe. Tef. Andate fu in fala y & fotrete parlarli , eue» derlo. Bin. I uogho ire a ueder queflo miracolo. Ma. Ni. Bindo > fi gVèito uia . Tef. Ocbenonuatufu Jttulouot. Ma. E ua baia la unlfe. Tef. O Mora che tenerezza e fitta quella di quel fadre , della figliuola , del figliuolo. Ma. Che ha detto il uecckio a Federigo i baWegli gridato i Tef. Prof rio gridato. Ma. O ecco Fa^io . lf olito bara fatto il hifogno y i uoglio ire a raguagliarlo di queflo garbuglio. Tef. E iuogVir fu a ueder e il reftodiquefta fejlal SCENA* V* FAZIO, SOLO. CH E f a^ia è fero quefla de gioua* ni : che oltre al rendere a iftdn fifat ti fcambi della (aticayche noiduriam A T T O per loro , eglino di fatto , come ma faglia fi attrauerfa loro tra piedi , lo m'andrò, aio mi ucglioirecon Dio . Quello p4%$6 di Federi- go , barche fuo padre é tornato uuol fu** ir fi , a r cloche oltre al danno della robba confuma* ta } egh habbia il dolore della perdita del figlio lo . fiUffóè mio amico y io uoglwire a Uni- tario, jz io lo trotterò fero qua mcafa fàanno. SCENA. VI FILI PO, FEDERIGO, FA- ZIO, E B I N D O, SI andrene ene paffopaffo , che ancor che io fa fiu tojlocbe nojlraccoj non no pre terir quella gita dell* Nuntiata , per grana delta quale io credo tffera ritornato. Fé. A comodo uojlro. fili ' O uedete Bindo , io ardifcodi dire , che e non fu fiato , e forfè non fia oggi huomo m quejla terra chefipoffa agguagliar di bontà ,dì [afe re , di fede , a Manno. F*/£. He colo, e mi far far deffo. Fi/i , Et tieni a mente figliuol mio , che di quefla qut Ut à uogl ia no effere gl i a mici. Bm. In uerità , che io mi turbai affai, quando io w- ufi ,cbeeglibaueua comfera quejiacaja. F che uno fliauo mie > un poltron manigol- do ,fia cofx ardito che egli agiri^ e beffi un mio pari-, <& che a guija d'un Bufolo e mi meni per lo nafo y che nel uero y ne a lui farqueflo, ne a teli patirlo , ne a me Veffer fatto è flato bene: Vercbetufai con quanto amore io t'ho fem- f re allenato , che harei creduto , che poi che tu baueui fatto tanti errori 3 e che tu fentifli che io ero tornato , che tufufii ueduto al primo, e det tamila cofa^omela flauailho bauuto perpeg gio il faperlo da un ter%p y che'l male jleffo:e non dehbe mai un buon figliuolo andar con bu- gie inan^i a fuo padre .Dorrebbemi ancora fo- fra tutto ciò che it'ho detto Je tu ftefii del conti nuo in quelle opere tnfle :Et [e tu non fenf t fi di correggerti e di far ulta, per lo inan^i d* buon cittadino ,tyhuomo da bene parnoflro: E quando tu non uoglieffere a me buon figli uo lo,tu Q_V INTO 4? lo , tu uedrai cìx io faro a te buon p. idre : Et fer il contrario, fe tu farai portamenti , che non jìien bene, io farò forcato a mutar natu- ra, & *ncor che contro a me uoglia dimoHrar tiVerror tuo , che io uoglio efjerpiutoflo fen^a figliuolo , che hauerlo di qualità , che io hab- hi a arrofiirperluLE per gratta di Dio oltre a quello che tu hai mandato male,che fai quan to egli è, e oltre a quello che io fui forbito get taretn mare andandoìn Inghilterra , e oltre a quello, che io darò alla tua forella fer dota , e eie reflato tanto, tra quel che è qui in effere, quello che di corto , piacendo a Diouerra in dogana , che noi baremoda flarci comodarne® te y fecondo i fari nojlri . B ncordoti figliuol mio y che le foche f acuità fono di più profitto lo fa o per non fene a ueder , o ff r far qualche male, e per paura, e contro afta uoghafi defeco io fonoil medefimo che io ero prima: [e iom'hautf fi a crocciare, io mi crucerei teco, che iìmfat lofi ardito ma fai tu quel cheti interuerra ,fe bora egli ihattaccata a me.queft'altra uolu noneffendo gajìigato diquella ,e la attaccherà a te y e non ce ne potrai difendere > Quanto a mejLo flarccon lui di forte, chefe mji più egli me l'appicca, io gli perdono. SCENA* VIL MANtfOj FILIP PO, E FEDER IGO, M *- j yORS V, la cofa e acconcia, fu Ti 1—1 lippo non più , non più e farà huomo da X JL bme , e gli è tempo d'allegrerà* Q VINTO 4* fili. Che ha tu fatto t Ma. Da qua Urna no. La tua figliuola e moglie c/' I f olito di¥a^io,con quella dota cbeuorren fa %io,Bwdo , e lo. Tilt. I fon concento . M*. ìrLorfuluM prò ui faccia a tutti a dua. Torna tufilippoqua in terreno , a toccar la mano a Filato. Tu Federigo ua fino a bottega di Va* %io, che dice che u'è Ippolito, e conducilo qua, che noi l'affettiamo , andiamne. Tilt. Ringratiato fia Dìo > e mi far ejfer fuori d'un grande obligo. Ma. loie lo credo, I>t Ó Ùiocome in un f ubico fuor d'ogni mia fpe- ran^a, è una gran tempefla tornata in una gra bonaccia' lo credo che farebbe imppbil e darlo a credere a chi( come io) non fuffejhto in cau fa . Quando i fenfo , che dianzi io ero in tanta dijperauoni'.cheio non uedeuo, doue io m' arida uocequandoioentraifu in cafa,to ero tanto por tato dalla furia , che io detti prima di petto m mio padre ch'io lo uedefii I h coprefoil bene che uoghon i padri a figliuoli.l Vhaueuo fattonul le mali,e tuttiiifjpeua^nondimeno^gUnoco fi toflo mi uide.cbe lafciatoogn'uno corredo mi fi gettò al collo .bacandomi tmUe uolte,cu grX di fimo piuo,che mi fu for^a coti 'afarlo, e cofi uolefìio , o non feci quello cheioharei beffato un'altro } cbe Vhauejfe fatto , Et ha pojjuto in ATTO me più qutjlo fuo modo di procedere tanto amo rtuole e tanto di cuore , che non barebbono pof fitto quante gridale quAnte parole minacciose , egli hauejfefaputo mai fare ,fe efuffebendu- rato un'anno. SCENA* VI. MORO, FEDERIGO, I P O L I T 0* Mo. \ tOI intenderemqualeofafen^a fatto Fe. O ecco Vederigo e'/ Moro . Va mi * date inan>i a tempo, ìpo. Che battete uoi fattoi le. Beni f.imo duoi grandi acqui/li . ìp o. Mi piace, ma quali fonoì e buon prò ui farcia* Fr. ha buona gratta di mio pad re, e uoi per fa» rente . Io ueniuo per uoi:cke uoflro padre, e'I mio mi mandauano a chiamare ,cbt fo qui che ui affettano. Ipo. Adunque uoflro padre è placato* Fr. Placatifimo y ma andùm la y che uoi udirete it tutto più per agio. Ipo. O padrone y e cafi miei come flannoì Te. Bene, bene . uten pur uia ficuramente. Mo. Sollecita. Qui ne ua il mio. S pettatori non fla te a difagio, cbeejfendo boramai umi quattro Q^V I N T O 41 bore , quejli, ueccbwon ufciranno fin fuori , e giouam meno che l'uno far* che fare col fa- ère,®* l'altro con la moglie^Selafauola tfè fiaauta sfatene fegno. IL FINE. INVINECIA APPRFSSO GABRIEL CIOLITO DE TERRARI £ FRATELLI. M » Irf 3 r